Cultura e Spettacoli

«Gomorra» e «Il Divo» si dividono i David

RomaTutto come previsto. Alla fine la sfida s'è giocata tra i due superfavoriti della vigilia. Il verdetto dice 7 a 7, ma non è una parità. Perché Gomorra di Matteo Garrone (11 candidature) si aggiudica le categorie principali: miglior film, regia, sceneggiatura, produttore... Mentre Il Divo di Paolo Sorrentino (16 candidature) vince soprattutto sul versante delle interpretazioni: Toni Servillo migliore attore protagonista, Piera Degli Esposti migliore attrice non protagonista.
Difficile fare le pulci. Sin da Cannes 2008 i due bei film si sono imposti in coppia, praticando una sorta di affettuosa rivalità, esibiti, pure dal ministro Bondi, come testimonianza del cine-rinascimento italiano, di una rinnovata capacità di intrecciare qualità e incassi. E certo, con Il papà di Giovanna, la giovane Alba Rohrwacher merita la statuetta per la migliore attrice protagonista.
Tuttavia sarebbe stato un segno di coraggio, da parte degli oltre 1400 giurati, per lo più addetti ai lavori, spiazzare le attese e magari laureare Ex, la fresca commedia corale di Fausto Brizzi su come ci si lascia, dopo essersi amati, nell'Italia di oggi. Proprio giovedì, ricevendo al Quirinale attori e registi, il presidente Napolitano aveva ricordato che, «in un anno di grave crisi finanziaria ed economica», è proprio la «rinascente commedia ad aiutarci a sorridere di noi stessi e a guardare sorridendo al domani: il che non è poco». Invece nulla. Nulla per Ex, per Tutta la vita davanti, solo un David Giovani per Si può fare, un premio di consolazione per Non pensarci (Giuseppe Battiston, miglior attore non protagonista). A quanto pare, il tabù persiste: le commedie piacciono al pubblico, incassano milioni di euro, ma poi non pigliano i premi che contano. Capita con i David, ma anche con i Goya spagnoli, i Césars francesi, i Bafta britannici.
Non che Brizzi, già miglior esordiente nel 2006 per Notte prima degli esami, ci puntasse più di tanto. O forse, in cuor suo, sì. Diceva ieri pomeriggio prima della cerimonia: «Siamo degli outsider, venuti qui per raccogliere le briciole, ci aspettiamo solo di divertirci. Se viene un David, in qualsiasi categoria, noi festeggiamo». Non hanno festeggiato. L'anno scorso, invece, nel segreto dell'urna, i giurati s'erano divertiti a rovesciare i pronostici della vigilia maltrattando il favorito Caos calmo e laureando La ragazza del lago dell'esordiente Andrea Molaioli. L'exploit di quel film si spiegò anche con l'assenza di una sfida reale sul fronte dei big. Ma stavolta c'erano in ballo, appunto, due big baciati da forte esposizione mediatica, universalmente apprezzati. Basterebbe citare quanto ha scritto il New York Magazine, pochi giorni fa, a proposito del Divo e del suo regista: «Se Kubrick, Scorsese e Fellini avessero un erede, sarebbe Paolo Sorrentino». Bum!
Poi, certo, resta da chiedersi quanto vale, concretamente, il cosiddetto Oscar italiano. Silvio Orlando sostiene che «vincere fa piacere ma cambia poco, perderlo, invece, è devastante». Sembra infatti che la statuetta non regali più al film premiato una nuova vita commerciale. Nondimeno i «pupazzetti dorati», come li chiama Paolo Virzì, fanno sempre piacere: incoraggiano all'inizio della carriera, gratificano dopo, quando l'entusiasmo si attenua.
Quanto allo spettacolo tv, non se ne esce. L'anno scorso presentava Tullio Solenghi, quest'anno Paolo Conticini, molto sostenuto da Christian De Sica. Ma la sostanza non cambia.

Lo si pretenderebbe in prima serata, quasi per dovere istituzionale, ma perché mai uno show-passerella così moscio e stenterello dovrebbe fare ascolti decenti? Meglio in diretta su RaiSat, sia pure con venti minuti di ritardo sull'orario previsto, e in seconda serata su Raiuno.

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