«Il gossip non sposta il voto cattolico»

Non ha mai avuto il phisique du rôle del predicatore che fa la morale, continuando a mantenere quello dell’emiliano gaudente, allergico al salutismo e al «politicamente corretto». La Provvidenza, ha scritto nel suo ultimo libro, «ha disposto in modo che la mia vita fosse complessa abbastanza da dissuadermi del tutto dall’impancarmi a maestro di vita». Anche per questo Vittorio Messori - classe 1941, convertitosi alla fede cattolica dopo essere stato una promessa della cultura laica e agnostica torinese, autore di bestseller sulla fede venduti in tutto il mondo nonché intervistatore di due pontefici - non parla mai volentieri di questioni morali né si è mai sentito portato, nonostante la laurea in Scienze politiche, a parlare di politica. Ma ha accettato, non senza riluttanza, di rispondere alle domande del Giornale.
L’estate è stata segnata dalla questione cattolica: che cosa farà la Chiesa dopo le vicende «rosa» che hanno coinvolto il premier, le polemiche con la Lega, il tentativo di conquistare il consenso dei cattolici da parte dei candidati alla segreteria del Pd. Che cosa ne pensa?
«Vorrei ricordare che il voto cattolico non è mai stato né potrà mai essere unitario, pur continuando a essere stabile. Dalla stessa fede possono sorgere comportamenti elettorali diversi: san Josémaria Escrivá, il fondatore dell’Opus Dei, ripeteva che in politica non ci sono dogmi. E in Italia, al contrario di Francia, Spagna, Portogallo o America latina, non ci sono mai stati partiti significativi che abbiano avuto l’anticlericalismo nel loro programma».
Ammetterà però che un programma non vale l’altro per la difesa di certi valori...
«Nel dopoguerra la Dc era in realtà un cartello di vari partiti, di destra, di centro e di sinistra. Togliatti diceva che il Pci era il secondo partito cattolico, e non aveva tutti i torti; allo stesso modo Almirante poteva dire che l’Msi era un partito cattolico. Oggi sia il Pdl che il Pd possono rivendicare titoli in questo senso, come pure la Lega».
Come pensa che incideranno le recenti vicende di Berlusconi nel consenso dei cattolici al Pdl?
«Una premessa: per certi versi, purtroppo, oggi il mondo cattolico rischia di non esistere più in quanto tale, perché spesso le varie sigle sono scatole vuote. Ci sono molti generali ma poche truppe. Detto questo, non credo esista un mondo cattolico che sta con le orecchie tese e le antenne vibranti, pronto a captare ogni sussurro dai postriboli, pronto a mutare atteggiamento sulla base dell’ultimo gossip».
Perché ritiene che le ultime vicende non siano destinate a influire nei rapporti del governo con la Chiesa?
«Sappiamo che il capo della Chiesa è Gesù Cristo, ma il padre fondatore della Chiesa istituzionale è l’imperatore Costantino, il quale, per motivi di potere, fece uccidere la moglie, il figlio, il nipote e il cognato. E questo mentre era già acclamato da molti padri della Chiesa. Per tutta la sua vita non volle il battesimo che gli avrebbe imposto dei limiti morali, chiedendolo solo in punto di morte. La Chiesa ha firmato concordati persino con Napoleone, con Mussolini e con Hitler, aveva tentato invano di farne uno anche con l’Unione sovietica. Il fine di queste trattative e di questi accordi è sempre stato quello di evitare guai peggiori, quello di sopravvivere. L’approccio è sempre stato quello del realismo, la Chiesa non ha mai condannato nessuno sul piano personale e se ha trattato persino con quei personaggi, persino con i peggiori tiranni e criminali, figuriamoci se oggi si fa impressionare dalle notizie su certe intemperanze di letto del Cavaliere».
E crede che queste non sposteranno consensi?
«Gli studiosi più realisti concordano nel dire che al momento del voto si sceglie sulla base della simpatia, dell’antipatia, delle tradizioni familiari. Si vota “di pancia”, molto più che sulla base dei programmi. Mi riesce difficile credere che il gossip inciderà».
Come la mettiamo con la difesa di quei valori che il Papa definisce «non negoziabili»?
«Aveva ragione Pietro Prini intitolando un suo libro Lo scisma sommerso: anche nel mondo cattolico prevale l’ideologia egemone, vale a dire quella del buonismo liberal, quella del politicamente corretto, come negli anni ’70 prevaleva quella marxista. I cattolici intransigenti sui temi morali sono minoritari in termini elettorali. Se si vuol fare il partito della morale cattolica si rischia finire come Giuliano Ferrara alle recenti elezioni. Tutte le volte che si è voluto andare alla conta, e parlo dei referendum su divorzio e aborto, si è visto quanto è esiguo il resto di popolo cattolico non inquinato dal politicamente corretto. Si crede, magari si va anche a messa, ci si scappella davanti al Papa e lo si applaude, ma non si segue ciò che dice».
Come giudica l’interventismo delle gerarchie sui temi morali legati alla politica?
«A volte ritengo che le gerarchie intervengano troppo sulla morale, sulle conseguenze etiche, e troppo poco sulla fede, cioè sul fondamento che dovrebbe sorreggere quelle conseguenze. C’è sempre il rischio del clericalismo. Devo però anche osservare che quello delle gerarchie è un interventismo di supplenza, perché il mondo cattolico si è dissolto e devono fare tutto i vescovi e i cardinali. Il rischio è quello di far passare la Chiesa per La Chiesa del no, come ha scritto nel suo libro il vaticanista Marco Politi».


Posso chiedere a Vittorio Messori l’identikit del buon politico cattolico?
«È l’identikit del buon politico: deve essere realista, fare i conti con la realtà così come questa si presenta, e tentare di limitare i danni, senza avere la presunzione utopica di chissà quali cambiamenti, senza presumere di poter redimere la realtà stessa».

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