Gossip sui Savoia e i figli dei macellai

Caro Granzotto, sto leggendo «I Savoia» di G. Oliva e ho trovato un avvenimento che mi lascia basito. L’autore cita il giallo di un incidente occorso a Vittorio Emanuele II all’età di due anni. In un rogo perse la vita la sua balia, mentre il piccino se la cavò con lievi scottature. Subito corse voce che il bambino fosse morto e che i genitori lo avessero sostituito, per ragioni di successione, con il figlio del macellaio. Cosa c’è di vero in questo fatto?


Secondo me, caro Alzani, è una balla. Va bene che i Savoia sono sempre stati un po’ tirchietti, ma che Carlo Alberto affidasse l’erede al trono a una badante qualsiasi lasciandola per di più sola soletta con l’infante Vittorio Emanuele e che quell’imbranata appiccasse seppur involontariamente fuoco alle trine della real culla mandandone arrosto il contenuto, no, non ci credo. Qui non si parla del rogo della Fenice di Venezia, ma d’un focherello. E che ci voleva ad agguantare l’augusto pupo e metterlo in salvo? I pompieri? Il seguito, poi, con i gentiluomini che battono a tappeto tutta Firenze alla ricerca di un marmocchio d’età giusta - due anni - da far passare per il defunto Vittorio Emanuele non sta né in piedi né in terra. Figuriamoci, il figlio di un macellaio, quando avevano a disposizione il parco-bimbi di Corte, con un pullulare di duchini e contini e marchesini. Va detto, però, che la balla fu ben congegnata. In effetti, il 16 settembre del 1822 taluni locali di Palazzo Pitti, destinati alla servitù, andarono a fuoco e che nel rogo perì una fantesca, tale Teresa Rasca. Ed in effetti Vittorio Emanuele, grande e grosso, impetuoso, passionale, ruspante e illetterato, tutto pareva meno che il figlio dell'esangue, raffinato e colto Italo Amleto. Ma da questo al fare due più due, ce ne passa.
Il pettegolezzo - gossip, come lo si vuol chiamare oggi - reale è sempre stato uno sport in voga, nutrendosi di fatti concreti più o meno romanzati e di voci delle quali è arduo se non impossibile stabilire la veridicità. Vittorio Emanuele I - vero o fasullo che fosse - ne fu vittima (ancora in fasce) al pari di tutte le teste coronate. Dello scambio a Palazzo Pitti sembrò addirittura sospettare Massimo d’Azeglio, che di Vittorio Emanuele fu primo ministro, ma che era anche un romanziere e dunque sensibile al rocambolesco, specie se regale. Un autentico campione del pettegolezzo fu certamente Carlo Dossi, anch’egli politico e letterato, autore di Note Azzurre, raccolta di chiacchiere e maldicenze sui Vip del tempo, principalmente sul Vip più Vip di tutti, Sua Maestà. Gli argomenti e il linguaggio ne consigliano la lettura agli adulti navigati, ma a titolo di esempio e pescando fra le pochissime «note» diciamo così castigate, glie ne cito un paio (nonostante tutto censurandole in parte): «Si dice che la contessa B (...), immiserita per la sua prodigalità, abbia prostituito la figlia a quel re viziatore di vergini che ha nome V. E. Sta il fatto che la contessa oggidì spende e spande e trae in carrozza la sua infamia pei pubblici passeggi di Udine». «Vittorio Emanuele fu uno dei più illustri stalloni contemporanei. Il suo budget segnava nella rubrica donne circa un milione e mezzo all’anno mentre nella rubrica cibo non più di 600 lire al mese.

A volte, di notte, svegliavasi di soprasalto e’ chiamava l’ajutante di servizio gridando: “una fumna, una fumna!” - e l’ajutante dovea girare i bordelli della città finché ne avesse una trovata, fresca abbastanza per essere presentata a S.M. La tassa era di Lire 100». Pettegolezzi, caro Alzani, nient’altro che pettegolezzi.

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