Per governare non basta un pezzo di carta

Gianni Baget Bozzo

I giorni della Finanziaria hanno rivelato che cosa è il governo Prodi: è un governo la cui maggioranza parlamentare rinasce ogni volta secondo le pressioni dei vari gruppi che compongono l’Unione. Come era evidente, non è bastato il programma a creare una unità politica, mai un pezzo di carta ha costituito l’unità di identità profondamente diverse. Le conclusioni raggiunte nel Consiglio dei ministri non bastano. Non bastavano nemmeno nella prima Repubblica, c’erano i segretari dei partiti, il «vertice»: la parola che Prodi teme.
Ma i grandi partiti storici sono finiti ed è un insieme di frammenti che si uniscono insieme per varare di volta in volta, pezzo a pezzo, i vari provvedimenti. È una maggioranza che varia i contenuti secondo il gioco delle pressioni. Questo è quindi un governo debole, il più debole dei governi italiani della storia repubblicana. Le decisioni non hanno un luogo proprio che dica l’ultima parola, i partiti componenti la maggioranza si considerano tutti di governo e di opposizione, Fassino e Cacciari scendono in piazza con gli autonomi contro la Finanziaria del governo. Così la regione Piemonte. Si direbbe che vige il principio del libero veto.
Debole come governo l’Unione vive su un patto di ferro: quello di abbattere Berlusconi e di spartirne le spoglie. I partiti che compongono l’Unione sono tutti nati nella prima Repubblica, sono l’insieme della cultura politica sorta con le istituzioni repubblicane. In un modo o nell’altro, essi hanno origine nei partiti del Cln che diressero il passaggio dell’Italia alla democrazia e alla Repubblica, hanno una storia. Il ceto politico tradizionale ruota attorno a loro e comprende tanta parte della cultura italiana, della lettura comune della storia democratica.
Di fronte ad essi sta invece un popolo nato dal rifiuto della partitocrazia ed alla ricerca di un nesso diretto tra popolo e governo: e ha trovato questa connessione in Berlusconi. È la storia d’Italia che comincia nel ’94 ed ha realtà politica senza avere radici culturali, è un movimento di popolo analogo a quelli che si sono prodotti nei paesi dell’Est. Si ripropone il confronto tra due storie diverse e non vi è dubbio che la storia che esprime l’Unione sia la storia dei partiti come fonte di legittimità politica.
Ma nel grande sommovimento che Berlusconi ha interpretato sono morti tutti i partiti e i frammenti che ne sono nati non sono in grado di esprimere altro che la loro parzialità. Il loro scopo fondamentale è quello di abbattere Berlusconi come il Cln ha abbattuto Mussolini sulla base di un principio di legittimità legato alla democrazia e alla Repubblica. Debole nel governo, la maggioranza è forte in un solo principio: quello di abbattere Berlusconi come alternativa non di politica ma di istituzione. Per questo nel vertice del programma dell’Ulivo ci sono leggi ad personam, dalla riforma delle frequenze televisive sino al conflitto di interessi. E l’Unione vuole colpire con Berlusconi anche quel sistema economico sociale nato dalla globalizzazione che è fondato sul privato, sulle piccole e medie industrie, sulle nuove forme del lavoro. Il punto di forza dell’Unione sono i sindacati storici diventati di nuovo protagonisti della gestione sociale, diventando i protagonisti non più della concertazione ma della parità con l’istituzione governo. Però quello che è accaduto rispetto al ’94 è che la cultura dominante dell’Unione non è più il centrosinistra ma è quella della sinistra antagonista. Questo è dovuto all’evoluzione interna alla sinistra europea, la Germania, sotto tanti aspetti affine all’Italia, conosce ugualmente questo destino: il formarsi di una sinistra contraria al capitalismo e alla globalizzazione. Sicché le posizioni che si competono idealmente e culturalmente sono soltanto due: quella di Berlusconi e quella di Bertinotti. La Margherita è il partito democristiano del sud, non ha autonomia rispetto alla sinistra, si definisce politicamente con l’alleanza a sinistra. I protagonisti dello scontro diventano le organizzazioni professionali da un lato e l’estrema sinistra dall’altro. Il vero fatto nuovo rispetto al ’94 è che la sinistra è dominata da una linea anticapitalista e antioccidentale. Prodi ha capito questo e ha fatto di questa alleanza il volto del governo sino a fare della questione fiscale il principio di una redistribuzione sociale. Margherita e Ds possono ritrovare solo a destra lo spazio politico: ciò significa abbattere il blocco sociale e politico che si è costituito attorno a Berlusconi. Convinti di avere bloccato tutte le culture politiche del novecento democratico, i riformisti della coalizione pensano che An e Lega sarebbero facilmente marginalizzabili senza il blocco politico attorno al tema della libertà che Berlusconi ha costituito. L’ipotesi di una coalizione moderata senza Prodi e senza Berlusconi si aggira nell’aria ma è solo un fantasma, è l’illusione di tornare ai tempi della Dc e del Pci, di esorcizzare Berlusconi e Bertinotti cioè le due posizioni che sono nate attorno al tema della globalizzazione: accettarla o respingerla.
Riusciranno Ds e Margherita a liberarsi di Berlusconi e di Bertinotti e a fare un bel partito postcomunista e postdemocristiano? È questo negli umori del paese? Il ritorno al passato, questo è il sogno dei moderati o «riformisti» del Ds e della Margherita: tornare all’antico insieme, realizzare il compromesso storico oltre la Dc ed il Pci. Questo è il loro sogno ma non è la realtà italiana.


bagetbozzo@ragionpolitica.it

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