Il governo non è mai stato in un'azienda

E' tutto da dimostrare che la so­luzione della crisi in cui ci troviamo passi per le soluzioni di questo colto manipolo di funzionari. Che non han­no passato un giorno in azienda

Il governo non è mai stato in un'azienda

Mario Monti è e resta mol­to credibile. Nonostan­te una manovra fatta di solo tasse. E per di più ben poco originali. Nonostante i suoi ministri chiave si rimangino riforme annunciate nel giro di un'edicola. No­nostante i mercati, come era normale che fosse, sono lì dove li aveva lasciati il suo predecessore. Nonostante ab­bia dovuto fare il solito compromesso sulle liberalizzazioni. E cioè non farle. Nonostante abbia chiamato una ma­novra da pentapartito con l'altisonan­te titolo di «salva Italia» in pieno stile propagandistico pubblicitario berlu­sconiano. Ebbene, nonostante tutto ciò Monti resta credibile. Ed è norma­le e giusto che tale resti. Monti e il suo governo sono figli delle alte burocra­zie europee che oggi dettano l'agenda delle politiche europee. Monti fa par­te (per quanto ci riguarda non si dà molto peso alle suggestioni di cricche più o meno segrete) di un milieu bor­ghese e milanese che ha un ottimo rap­porto con la stampa «più credibile» che è e resta il Corriere della Sera. Ma insomma cosa avrebbero scritto a via Solferino se la manovra fatta di accise, bolli e tasse l'avesse fatta qualsiasi al­tro governo? Ve lo diciamo noi: avreb­bero preso il magnifico articolo di Ale­sina e Giavazzi, che smontava la ma­novra, e ne avrebbero fatto la loro ban­diera. E non un isolato caso di dissen­so assistito. Ma ripetiamo: Monti è l'uomo giusto per questa fase. Ha lo stesso ruolo che ebbe Fénelon, il pre­cettore dei re, nell'ultimo scorcio dell'Ancien régime: distruggere il suo so­vrano.

Berlusconi questa credibilità sin dalla sua discesa in campo non l'ave­va. E proprio per questo accettò il sug­gerimento di Antonio Martino di no­minare Monti commissario europeo. Ma il Cav aveva un altro tipo di credibi­­lità che ha perso per strada: quella dell' economia reale. L'economia non è fat­ta solo di grafici e relazioni determini­stiche scritte nei manuali. Essa si reg­ge sulla fiducia nel futuro, sulle aspet­tative. I consumi e gli investimenti (che poi sono il pil di un Paese) sono figli di milioni di decisioni individuali che nascono dalla speranza che il do­mani sia migliore dell'oggi. Non si con­suma quando non si ha la ragionevole speranza che il proprio reddito dispo­nibile domani sia superiore o uguale a quello di oggi; non si intraprende un nuovo rischioso investimento quan­do non si ha la ragionevole speranza che esso dia un buon ritorno. Questo meccanismo si poggia sull'ottimismo e la caparbietà degli imprenditori e sulla relativa sicurezza dei consuma­tori. Se un governo fa tre manovre in una sola estate (caso Berlusconi) e se quello che segue a stretto giro si limita ad alimentare un effetto povertà nei contribuenti si rompe il meccanismo economia-consumi-investimenti. E ci si impantana. Berlusconi in una pri­ma fase ha avuto la capacità di parlare alla pancia produttiva di questo Pae­se; Monti ha la straordinaria abilità di parlare la stessa lingua della tecnocra­zia che governa oggi l'Europa.

Nessu­no può disconoscere questa sua capa­cità. Ma è tutto da dimostrare che la so­luzione della crisi in cui ci troviamo passi per le soluzioni di questo colto manipolo di funzionari. Che non han­no passato un giorno in azienda.

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