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Il governo tecnico? Sarebbe una rapina

Altro che salvataggio dalla crisi: Pd, Sel e poteri forti aumenterebbero le imposte su patrimoni e risparmi. Come già successo da Amato in poi. Il Cav sfiducia i nostalgici: "Non mollo"

Il governo tecnico?  Sarebbe una rapina

Si riparla di continuo di governo tecnico, pre­sieduto da un’eminente personalità del mondo finanziario a cui la sinistra ha dato la sua disponibilità, come il vero modo per ri­solvere i problemi del nostro debito pubblico. Il citta­dino normale potrebbe essere stupito di questa alle­anza, apparentemente anomala, tra il Pd, Nichi Ven­dola e il cosiddetto salotto buono del mondo degli af­fari. Come si possono mettere assieme interessi così diversi?

La risposta però c’è. Si chiama imposte patrimoniali e sul risparmio, in cambio delle quali la sinistra accetterebbe un nuovo patto sociale il cui contenuto per altro è molto dub­bio, dato che la Cgil rifiuta sia i contratti aziendali di Fiat, sia la possibilità che esistano contratti di lavoro a tempo indeterminato, che prevedano la possibilità di licenziamento per la necessità di ridurre la forza la­voro sulla base di congrui ammortizzatori sociali, al­lo scopo di agevolare le nuove assunzioni, in un peri­odo caratterizzato da incertezze, per le imprese. Che una guida cosiddetta tecnica abbia come suo elemento caratterizzante la tassazione del rispar­mio lo si desume chiaramente da ciò che hanno di­chiarato i candidati a questo esecutivo, del mondo degli affari, da ciò che ha fatto il governo di Giuliano Amato,nel luglio del ’92,che pose le basi della politi­ca di concertazione tra Confindustria e Cgil al timo­ne della coalizione sindacale unitaria centralizzata che fu varata il mese dopo.

Amato nel 1992, nottetempo, varò due patrimonia­­li straordinarie, una del 6 per mille sui depositi banca­ri e­un’altra della metà sugli immobili e le aree fabbri­cabili sulla base del loro valore catastale rivalutato. La prima imposta straordinaria generò un considere­vole terrore nei risparmiatori e diede luogo a un gran­de esodo di risparmi dalle nostre banche a quelle svizzere e di altri rifugi. La seconda imposta, formal­mente straordinaria, divenne ordinaria perché men­tre i denari e i titoli possono scappare all’estero, gli immobili non possono farlo.

Essa si trasformò nel­­l’Ici: con una beffa, perché l’Ici che si era progettata doveva comportare l’abolizione delle imposte di re­gistro e di successione sugli immobili, mentre que­ste sono rimaste e anzi inasprite in particolare con il decreto legge Visco-Bersani che ha ingessato il mercato immobiliare, alla vi­gilia della crisi del 1997, facendo «piovere sul bagnato». Il progetto di tassare i patri­moni è ora tornato e si trova in salse diverse, in tutti i menu dei governo tecnici e nei program­mi della sinistra. Si va dal proget­to di Amato che vorrebbe tassa­re tutti i patrimoni di un terzo de­gli italiani, cioè 20 milioni, con un tributo straordinario medio di 30mila euro, che darebbe luo­go a un gettito di 600 miliardi, pari al 33% del Pil, a quello del professor Pellegrino Capaldo, vicino all’Udc, che la vuole di gettito analogo sugli immobili, sul loro aumento di valore dagli anni postbellici, pagabile a rate e garantita da ipoteca sugli stes­si, a quella di Alessandro Profu­mo, ex ad di Unicredit, aspiran­te ministro del governo tecnico, di importo pari a 400 miliardi, con base imponibile indetermi­nata, a quella poi di Emma Mar­cegaglia, presidente uscente di Confindustria che voleva una patrimoniale ordinaria di 1,5 per mille sopra 1-1,5 milioni di euro, tra titoli, depositi e immo­bili, che darebbe 6 miliardi. Luigi Abete, altro candidato a governi tecnici, la vuole del­l’uno per mille, ma con gettito di 9 miliardi e base imponibile a livelli inferiori. Infatti, nelle discussioni sul governo tecnico, ora la base del­la patrimoniale ordinaria è sce­sa a un milione e per la Cgil a 800mila euro.

Il Pd, invece, la pone fra 1,2 e 1,7 milioni, ma con un’aliquota del 5%, ossia 3,3 volte quella confindustriale e dello 0,8 oltre 1,7, ossia 8,3 vol­te. Vendola vuole una «pa­t­rimoniale pe­sante » e la tas­sazione delle rendite finan­ziarie «per ri­durre il debito e rilanciare la crescita » . Mario Mon­ti­non si sbilan­cia, ma allude chiaramente alla patrimo­niale, dicen­do che tutti debbono fare i sacrifici. poiché i par­titi che lo so­stengono hanno, come scelta obbligata, la patrimoniale, egli ne sarebbe lo sponsor. Frattan­to i capitali scappano perché, co­me la storia insegna, la tassazione dei risparmi si espanderebbe dal­­l’alto verso il basso.

Le banche potrebbero maneg­giare le operazioni di smobilizzo degli impieghi di risparmio, per consentire ai loro clienti di raggra­nellare il liquido per il nuovo tribu­to o gruppo di tributi.

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