Piantedosi avverte: "Dietro le piazze vecchi nostalgici della lotta armata"

Ritorna l’ombra delle organizzazioni sovversive. Indagine su slogan e simboli

Piantedosi avverte: "Dietro le piazze vecchi nostalgici della lotta armata"
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«Da tempo i nostri investigatori hanno evidenziato la ricomparsa sullo scenario di vecchi nostalgici della lotta armata. Questo non vuol dire un ritorno della lotta armata, ma che nel substrato delle manifestazioni qualcuno vive la suggestione di reimpiantare la sovversione». Più che un allarme, è un avvertimento quello che arriva dal ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, ospite della «Festa dell'ottimismo» organizzata dal quotidiano Il Foglio a Firenze.

Parole misurate, tutt'altro che incendiarie - come è nella consuetudine comunicativa del ministro, ancora più prefetto che politico - che danno la radiografia di un fenomeno: dietro ogni grande mobilitazione di piazza, soprattutto se seriale come nell'ultimo periodo con le manifestazioni a favore della Palestina, c'è la tentazione di sfruttare l'occasione da parte di chi tenta di rimettere in gioco, anche con slogan e striscioni, la vecchia cultura dell'antagonismo antisistema. Il titolare del Viminale chiarisce di non credere che stiano tornando gli Anni di piombo, ma intravede in questo humus sovversivo, fatto di simboli, linguaggi e nostalgie ideologiche, il pericolo latente rappresentato da chi coltiva la suggestione di riportare in auge quella dolorosa stagione del nostro Paese, che sembrava chiusa da quasi vent'anni. Rileva poco anche il colore della piazza così come la causa che la anima. Conta più il meccanismo, trasversale e ricorrente. Il substrato di cui parla il ministro arriva dagli anni 70 e sopravvive, fortunatamente residuale, nei cortei operai, studenteschi, no global, no vax, no tav, e ora pro-Pal. Basta che ci sia una «onda» di tensione emotiva e di sentimenti antagonisti nella quale nascondersi e lavorare da infiltrati. Piantedosi parla di un «substrato», ma non esclude che questo pericolo, da latente, possa divenire effettivo, e magari poter già contare su una struttura, una qualche organizzazione.

Sempre ieri, infatti, il ministro ha ricordato come l'altro giorno a Montecitorio, durante il question time, «ho detto che tutto quello che sta dietro ad alcune scene che abbiamo visto nelle manifestazioni e alcuni elementi sono al vaglio degli inquirenti per capire se alcune azioni apparentemente coordinate c'è una strategia o meno». Lì il ministro rispondeva a un'interrogazione sull'invito dei Carc a sfruttare le manifestazioni pro-Pal per cacciare il governo Meloni sostituendolo con uno di emergenza nazionale. Ma al di là delle sigle, il lavoro annunciato da Piantedosi è sul clima che si respira nel Paese, attraverso due livelli di analisi. Uno logistico-operativo, sulla dinamica degli eventi, e uno simbolico-comunicativo sul linguaggio delle piazze. Digos e intelligence indagano, quanto al primo, sulla cadenza degli scontri con la polizia o degli assalti a obiettivi simili - stazioni, porti, strade - in luoghi diversi, o sulla localizzazione dei gruppi violenti all'interno dei cortei, come sulla tempistica scelta per far scoppiare gli incidenti, pure setacciando chat e social alla ricerca di coordinamenti tra sigle diverse. Ma si lavora, appunto, anche su slogan, cori, «parole d'ordine» circolate in piazza e online, simboli, striscioni, scritte lasciate sui muri dopo le manifestazioni, per cercare di comprendere se questi nostalgici degli anni di piombo stanno provando a ricreare un immaginario di giustificazione della violenza politica. E le parole di Piantedosi sembrano anche un avvertimento a quel mondo, a quel «substrato» di nostalgici e wannabe dell'eversione, per far capire che i segnali sono stati colti, che si indaga anche sulla galassia dimenticata di sigle piovute dal passato e linguaggi che tornano a galla tra un corteo e un sit-in, e che non si abbasserà la guardia.

Visto il clima, suona sensato l'invito ad abbassare i toni rivolto alla premier per aver «paragonato la sinistra italiana ad Hamas», peccato che arrivi dalla segretaria Pd Elly Schlein, che aveva definito l'esecutivo «complice» dell'inferno di Gaza.

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