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Il Grande fratello dei villaggi operai

Lo smart working ha cambiato la geografia del lavoro. E oggi siamo al punto più lontano dall'esperimento sociale di collettività e controllo tentato agli inizi del '900: le micro-città del "feudalesimo industriale"

Il Grande fratello dei villaggi operai

La geografia del lavoro racconta chi siamo. Ora ci connettiamo da casa, abbiamo abbandonato il pendolarismo, gli uffici e stiamo cercando di pensare a nuove forme di co-working per non isolarci troppo, con spazi comuni di lavoro all'interno dei condomini di nuova costruzione.

Un tempo invece - sembra strano pensarci adesso - c'erano i villaggi operai che riunivano casa, lavoro e tempo libero tutto in uno, in micro città ideali iper organizzate e protette. Un «feudalesimo lavorativo» inimmaginabile ora, testimonianza di imprenditori che erano al tempo stesso protettori dei loro dipendenti e controllori del loro stile di vita. Un esempio su tutti: Crespi d'Adda, provincia di Bergamo. «È uno scrigno architettonico - racconta Ivana Pais, professoressa associata di Sociologia economica nella facoltà di Economia dell'università Cattolica - un capolavoro urbanistico e racconta molto bene il ruolo che aveva l'imprenditore: da un lato proteggeva i suoi operai con abitazioni dignitose e servizi per le loro famiglie, dall'altro ne controllava perfino l'assunzione di alcolici nel tempo libero, con un razionamento delle consumazioni che oggi sarebbe impensabile».

I villaggi operai, nati per lo più a cavallo tra Ottocento e Novecento, sono sopravvissuti fino agli anni Cinquanta. Molti sono stati poi riconvertiti (o le case sono state cedute agli eredi degli ex operai) e sono ancora intatti, spesso meta dei turisti.

«Raccontano di un'epoca in cui l'impresa era estremamente radicata sul territorio - continua la sociologa Pais - e rispecchiavano una gerarchia sociale molto rigida: gli operai avevano un certo tipo di abitazione, i capi un altro. Idem nei cimiteri: anche l'architettura tombale testimonia una netta gerarchia. Oggi invece si è ridisegnato tutto: la casa di una persona o il suo abbigliamento non per forza rispecchiano la sua posizione professionale e il suo stato economico. Ora è tutto più fluido. La prospettiva si è rovesciata e siamo più individualisti». I villaggi si sono evoluti, ognuno ha creato una sua struttura unica. Se Crespi d'Adda, patrimonio dell'Unesco, viene citato come esempio di architettura, altri agglomerati non hanno dato altrettanta dignità a operai e lavoratori. Gli stili delle case tutte uguali, in fila, degli orari comuni, della socialità controllata davano l'idea di quello che è stato teorizzato da Robert Owen come socialismo utopico, cioè una comunità fondata sulla collaborazione e la fratellanza. Un modello sociale impraticabile se non in una comunità di un migliaio di persone, ma più affascinante nella teoria che nella pratica. Quello che è certo è che per i padroni era molto più produttivo concentrare le loro squadre in una micro città. E per un po' di anni è sembrata la soluzione migliore per i cotonifici del nord Italia, i lanifici, le aziende siderurgiche. Gli agglomerati si sono perfino evoluti nel tempo: se all'inizio del secolo erano composti da casette «a misura» e hanno dato alle famiglie la possibilità di abbandonare le campagne, successivamente hanno seguito gli stili architettonici e imposto un nuovo cambiamento sociale, di sicuro più alienante.

Basti pensare ai palazzoni anonimi di Mirafiori a Torino, il villaggio Fiat, o all'esperimento di Adriano Olivetti.

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