Grandi olandesi d’Oltremanica

Da Rembrandt a Vermeer a de Hooch, cinquanta capolavori delle collezioni reali in mostra a Buckingham Palace

La pittura olandese del secolo aureo affascinò fin dall’inizio i teorici dell’arte e intrigò non pochi scrittori: Aldous Huxley esaltava la perfetta geometria dei suoi paesaggi, strade e canali descrivendola «un viaggio attraverso i primi libri di Euclide», Henry James vi intuì un genio sovversivo. «Questa bellezza che non è bellezza, la poesia che è prosa, e la prosa che è poesia - annotava all’Aia nel 1874 -; quando guardiamo l’originale sembra una copia, e quando guardiamo la copia sembra l’originale, è la riva di un canale ad Harleem o è un Van der Heyden?». Nella pittura di genere, nella fedele descrizione del quotidiano, George Eliot ammirava quella «preziosa qualità della schiettezza che le menti superbe disprezzano», la semplicità enigmatica della composizione presentava una dicotomia che ispirò anche Proust - il quale fra tutti preferiva Vermeer - e che ancora oggi esercita una suggestiva influenza sul romanzo e sul cinema.
La pittura delle Province Unite del Nord ratificate dal Trattato di Munster nel 1648, rifletteva la sicurezza, ma anche le tensioni della nuova potente repubblica protestante affrancata dalla dominazione spagnola, e la fiducia nella conquistata identità nazionale. Oggi questa pittura che già nell’Ottocento Eugène Fromentin percepiva come «il ritratto dell’Olanda, la sua immagine esteriore, fedele, esatta, completa, la vita stessa senza ornamenti», sta vivendo una rinascita sul piano critico e storico.
Cinquanta opere della collezione reale britannica esposte al pubblico nella mostra «Enchanting the Eye: Dutch Painting of the Golden Age» alla Queen’s Gallery di Buckingham Palace (fino al 30 ottobre) ne propongono uno spaccato intimo e raro con opere di Vermeer, Rembrandt, Cuyp, Jan Steen, Pieter de Hooch, Frans Hals, Isaac e Adriaen van Ostade, Gerrit Dou, Hobbema, Metsu. «Tutte eseguite fra il 1648 e il 1672 quando l’invasione francese smorzò il fermento di un momento straordinario paragonabile al XV secolo a Firenze», spiega Christopher Lloyd, conservatore dei quadri della regina e curatore della mostra. Iniziata alla metà del 1600 da Carlo I, a cui si devono opere di Rembrandt fra cui il celebre Ritratto di Vecchia, la collezione reale di pittura olandese è una delle più significative del mondo. Successivamente ampliata da Carlo II, da Giorgio III che acquistò dal console Smith il capolavoro di Vermeer, Fanciulla al virginale con gentiluomo, e da Giorgio IV, raggiunse nell’800 un volume di duecento piccoli e grandi capolavori.
Nella mostra ritratti di Rembrandt e Frans Hals, paesaggi di Cuyp, nature morte di Claesz e Borch, scene di genere di Pieter de Hooch e Vermeer illustrano una società che si osserva con impietoso candore, privi di ogni ipocrisia o trionfalismo religioso. Che si tratti della Bottega del droghiere di Gerrit Dou, con la superba natura morta sul banco, o delle scene contadine di Jan Steen e van Ostade, o dei sublimi velieri di van de Velde, sono dipinti «condensati», come osservava ancora Fromentin, che esaltano le piccole cose, che racchiudono così tanto in così piccolo spazio.

Ogni cosa perciò assume una forma più concisa e più precisa, una più grande densità. «I colori sono più forti, il disegno più intimo, l’effetto più centrale, l’interesse più circoscritto, l’occhio si muove con sicurezza dal primo piano allo sfondo, verso l’orizzonte, nelle profondità della superficie».

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