Grattacielo sì o no? Parlano le «archistar»

Grattacieli a Roma, la parola alle archistar. Che certo non hanno tabù nei confronti dello sviluppo verticale della città, ma che comunque hanno posizioni molto differenti. «Non si può cambiare lo skyline di una città come Roma e non si può soffocare la sua storia. No ai grattacieli perché Roma non è una città che si fa in un giorno. E il Cupolone di San Pietro è unico e la sua prospettiva non deve essere offuscata», dice il progettista portoghese Edoardo Souto De Moura, a Roma per la Festa dell’architettura «Index Urbis» all’Auditorium. Souto de Moura non si riferisce soltanto al centro, ma anche all’Eur, dove entro il 2011 dovrebbe sorgere l’Eurosky Tower: «È un quartiere che ha un suo valore paesaggistico e un suo senso culturale, perché mai deve essere rovinato da una torre? Non servono questi interventi, perché cercare nuove firme dove già ce n’è una?». L’architetto lusitano sa bene quale vantaggio garantisca il grattacielo, «che riduce la superficie del suolo impermeabilizzata, perché quando si fanno le fondamenta il cemento copre la superficie della terra. E l’acqua non penetra più e si crea il rischio di torrenti e alluvioni». Ma «per fare un grattacielo a Roma ci deve essere prima un’azione chirurgica sul territorio, basata su studi vari come le riprese filmate aeree, rendering in 3D, plastici e modelli, insomma uno studio che metta insieme più prospettive per capire se il grattacielo in quel punto disturba lo skyline».
Non è né un sì né un no la risposta di Bernard Tschumi al dilemma: «Le torri possono essere belle, ma magari non inserite nel contesto urbano in modo strategico. Non si può consentire di costruire a chi vuole e dove gli pare, soprattutto in una città come Roma. Se la città può identificare un luogo in cui il grattacielo non abbia solo un impatto estetico ma anche un suo ruolo chiave all’interno di un progetto urbanistico che guardi al traffico, ai servizi, al paesaggio, allora può anche essere fatto». Tschumi, svizzero di nascita e americano di adozione autore tra l’altro del Parc de la Villette di Parigi e del Museo dell’Acropoli di Atene, pensa che la priorità vera di Roma sia il traffico: «Io pedonalizzerei tutto. È inevitabile. Certo, bisogna trovare il giusto punto di equilibrio. Ma le aree archeologiche, soprattutto intorno al Colosseo, devono essere chiuse al traffico». Anche il romano Massimiliano Fuksas fa i suoi distinguo: «Grattacielo si, grattacielo no? È come chiedere a qualcuno, che preferisci una persona bionda o mora? Dipende tutto da chi li fa, come li fa e dove li fa. Il problema di Roma non sono i grattacieli. I problemi sono di tre ordini: rispetto dell’agro romano, mobilità e piano di integrazione tra periferia e centro. Poi se ci vogliono mettere il grattacielo o le casette basse, facciano loro».
Alla fine l’unico sì deciso arriva proprio da un paesaggista, James Corner, l’americano che ha trasformato un vecchio viadotto ferroviario di New York, l’Highline, in un giardino pensile, progetto che si vorrebbe replicare a Roma con la Tangenziale: «Mi piace la densità - dice Corner - è una buona cosa, anche dal punto di vista della sostenibilità: invece di costruire a oltranza in orizzontale, distruggendo e mangiando aree verdi, il grattacielo è la soluzione più sostenibile. Anche a Roma che è una città singolare, con una storia forte. Perché poi quello che conta è l’estetica.

I grattacieli possono essere brutti o favolosi, orribili o fantastici, dipende dall’architetto, da come dosa il progetto, da come mette insieme le componenti della pianificazione ambientale, del design e dell’architettura».

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