Graziani, il generale che non capiva il deserto

Prima di abbandonare il periodo grazianesco è prudente un commento sulla quistione: non tutti i soldati e comandanti erano nel lumeggiato stato mentale, v’era chi aveva senno, vedeva chiaramente la bandiera marcia e avvertì come poteva. Ma gli altri, ripeto, erano una marea e solo i fatti che ineluttabilmente dovevano accadere avrebbero potuto toglier loro le pazze illusioni, pulire il cervello, almeno per quello che è possibile, ché alcuni sono così ciechi che ormai occhi nuovi nessuno glieli può rifare.
Cominciò dunque la guerra nel deserto, guerra quant’altri mai dolorosa e triste, dove non c’era nulla che allietasse e solo i soldati avrebbero potuto trovare un conforto se si fossero tra loro voluti bene, ma tra loro si volevano male, cioè non si stimavano, e in più la natura dove vivevano era ostilissima.
Il ciarpame, le trombette, il parolaio cominciò dunque a essere ucciso come venne in contatto con il deserto, e ciascuno cominciò ad avere paura, se non che, prima che il nemico iniziasse la battaglia, quando si trovavano insieme si rifacevano coraggio e nascondevano quella paura, che il deserto gli aveva messa, con i paroloni e le stupidaggini, poiché nel deserto ci si può vivere tranquillamente soltanto avendo i pensieri, avendo un mondo sicuro e amato dentro il cuore, e i soldati non avevano dentro di loro niente di sicuro o amato, avevano sopra di loro la sensualità, il desiderio di godere, e con questo unico desiderio è impossibile vincere le guerre. Il generale Graziani, che quando incominciò ad andare male, i soldati sussurravano che non amava star vicino alle bombe, era un generale che non doveva amare non soltanto i proiettili, ma neppure la critica, e mai più i ragionamenti e le disquisizioni di guerra. Egli, dopo la catastrofe, si difese con una assai bella lettera indirizzata al «duce» dove in sostanza a costui diceva che la colpa del disastro erano proprio i dissennati ordini che lo stesso duce aveva dato. Io non so chi sia stato il primo a scaricare il barile, io so che un generale è il padre dei soldati e deve fare il bene del paese, e solo avere questo scopo. Io so, poiché lo stesso Graziani lo ha dichiarato per iscritto, che egli generale, poche ore prima dell’attacco nemico, stava preparando l’invasione dell’Egitto e per questo aveva ammassato tutte le sue forze alla frontiera e persino le vettovaglie aveva portato in linea, e si comportò cioè, dette ordini, come la vittoria fosse sicura, il nemico uno sciocco e disarmato.
Ora Graziani non aveva capito la guerra di movimento, non solo, non sapeva che fosse il deserto, e sembrava caparbiamente che non volesse assolutamente guardarlo come era, e che gli inglesi non erano gli arabi del 1911, che le armi noi non l’avevamo, che innanzitutto non v’erano le ragioni, noi incivili, di vincere dei civili, e che era supremamente sciocco dirsi: – noi siamo destinati alla vittoria e la vittoria verrà da noi – e che infilare dentro le nebbiose teste degli ufficiali e soldati che noi si era un esercito glorioso e il nostro compito era quello di attaccare e il nemico si sarebbe frantumato solo perché noi si iniziava il combattimento, questa opinione era certo sconsiderata. E non è che Graziani e i soldati non sapessero la forza e l’astuzia del nemico perché prima dell’attacco decisivo del nemico vi erano stati numerosissimi piccoli scontri dove noi eravamo stati sempre giocati molto per le armi che essi avevano e cioè autoblinde ed armi automatiche, armi a noi ignote, ma assai anche per tutta la faragine di luoghi retorici e comuni che invece, di distruggere ora che si era davanti al nemico e in ogni modo lo si doveva fronteggiare con i mezzi che si aveva in attesa di averne di migliori, si favorivano questi balordi drappi e da Roma e dallo stesso Graziani, il quale avrebbe potuto fare qualsiasi cosa ma non reagire con ogni mezzo a quelle che erano le cause predominanti della obbligatoria vergognosa sconfitta. E invece portò perfino le vettovaglie in prima linea considerando che era bene averle già spostate in avanti dato che sicuramente quella che era oggi la prima linea, a causa della sua folgorante avanzata di domani, sarebbe venuta una lontana e comoda retroguardia. È da aggiungere che moltissime delle sue truppe erano a piedi, compresi i suoi libici i quali perfino li aveva frammischiati a reparti italiani e accarezzando i libici (da lui considerati invincibili), trattandoli con maggiore riguardo creò avvilimento e sdegno negli italiani, sciocca superbia nei libici.

E davvero costui generale non aveva nozioni di guerra, sebbene nel tempo che precedette l’attacco nemico, se avesse avuto un po’ di attenzione, avrebbe perfino avuto tempo ad apprenderle, e proprio dagli inglesi, i quali partendo da sicure, difese basi lungo la costa (e anche noi queste avremmo potuto averle e forse migliori degli inglesi, e valga ad esempio la chiave, cioè Tobruk) facevano con le loro autoblinde arabeschi nel deserto e ritornavano alla base, e non tenevano schierato proprio nello spietato deserto un esercito ma vi tenevano delle schiere leggere quali avvertitori dei movimenti del nemico.

Pubblicato per gentile
concessione della Fondazione
Mario Tobino
e di Arnoldo Mondadori editore

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