«Grazie all’export possiamo eguagliare Berlino»

È da ricercare nell’esportazione il generatore dei dati positivi riguardanti fatturato e ordinativi dell’industria. Proprio l’export è alla base del boom dell’economia tedesca. Significa che l’Italia è sulla buona strada?
«Il Paese è sulla buona strada di Berlino - risponde Guidalberto Guidi, presidente di Confindustria Anie, la Federazione che rappresenta le imprese elettrotecniche ed elettroniche che operano in Italia - per sopravvivere, infatti, occorrono quote di fatturato prodotto all’estero sopra il 50-60%, nonché quote di valore aggiunto realizzate all’esterno».
Di mezzo, però, ci sono i delicati equilibri valutari.
«Se si guarda all’andamento del rapporto dollaro-euro degli ultimi due-tre mesi e al dato dell’export sarebbe difficile spiegarsi come quel gruppo di aziende italiane che negli ultimi dieci anni ha innalzato il proprio contenuto tecnologico, sia riuscito a diventare più competitivo. E tutto ciò producendo in quei Paesi dove la valuta è ancorata al dollaro e comprando le materie prime con la valuta forte, cioè l’euro. Per tali imprese, che hanno puntato sulla forza del brand e sull’innovazione, questa situazione è addirittura un vantaggio. L’euro forte, dunque, non penalizza l’export di queste imprese; per le altre, invece, la cosa è drammaticamente diversa».
Si aspettava dati di tale portata per fatturato e ordinativi? A stagnare, invece, resta il Pil, mentre la produzione industriale batte la fiacca.
«Sul fatturato non mi aspettavo un dato così macroscopico, mentre quello sulla produzione industriale rispecchia il fatto che molte aziende lavorano con componeneti e semilavorati che arrivano da fuori».
Anche il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, afferma che «è sulla domanda interna che non ci siamo».
«La mia azienda (Ducati Energia, ndr) può fare da esempio. Se consideriamo quello che esportiamo direttamente e quello che forniamo alle aziende italiane ma poi esce dai confini, siamo oltre il 90%».
Il ministro Paolo Romani, nel commentare i dati, ha ricordato come il Decreto sviluppo, messo in campo dal governo, tenda a supportare le aziende italiane nel recupero della competitività.
«Credo che per riacquistare competitività nei confronti del resto del mondo - Cina, Est Europa e Brasile in particolare - occorre una mutazione genetica del nostro modo di fare impresa che tocchi il fisco, le leggi sul lavoro, tutte cose che oggi sono ancora sul tavolo della discussione».
Che cosa suggerisce al governo?
«Le richieste di rafforzamento patrimoniale al sistema bancario possono far pensare al pericolo di un’altra tempesta valutaria, con il fallimento della Grecia e il virus della crisi che potrebbe espandersi ad altri Paesi. Il problema è anche quello che un’azienda può considerare spesa.

Molte cose, in pratica, non posso essere ritenute scaricabili».
Anche la Confindustria del post Marcegaglia farà sentire la sua voce.
«Ci sono molte cose da rimettere a posto. Ho parecchie perplessità sulla gestione degli ultimi periodi da parte dell’attuale presidente...».

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