Grazie alla «Bai» rivive lo spirito dei veri goliardi

Grazie alla «Bai» rivive lo spirito  dei veri goliardi

Come ogni anno è tornata ieri sera sul palcoscenico del Politeama la mitica «Baistrocchi» che quest'anno compie ben 97 anni. Molti conoscono ed apprezzano le esibizioni della veneranda Compagnia Goliardica «Mario Baistrocchi» ma forse pochi, ad eccezione dei non più molto giovani ex - studenti universitari, hanno cognizione dei reali valori e dell'essenza della «Goliardia», coacervo di cultura e sregolatezza, di sapienza ed emancipata scostumatezza, che hanno contraddistinto per moltissimi anni le usanze degli appartenenti alle varie Facoltà universitarie, creando inni, manifestazioni, componimenti di vario genere e qualità, comunque sempre improntati a sarcasmo, ironia, satira nei confronti del potere genericamente inteso. Ne è esempio la maccheronica e licenziosa traduzione della nota opera di Euripide relativa alla figura di Ifigénia (figlia di Agamennone il quale, prima di salpare per Troia, voleva sacrificarla alla dea Artemide ma che quest'ultima salvò sostituendola con una cerva), ripresa anche da Racine, Goethe, Gluck, Scarlatti ecc... Leggenda vuole che autore dello squinternato componimento goliardico certamente anche scurrile ma godibilissimo (bastino soltanto come esempio i nomi di alcuni personaggi quali Ifigònia, Allà Ben Dur, In Man Là, Bel Pistolino d'oro...), fosse tra gli altri Amintore Fanfani, ma ultimamente si è venuto a sapere che l'artefice di cotanta nefandezza sarebbe stato un brillante studente di medicina dell'Università di Pisa, divenuto in seguito illustre primario.
Ma torniamo alla Goliardia: essa ebbe inizio alla fine del secolo XI quando la scuola di Bologna, resa famosa dalla sapienza di Irnerio (o Guarnerio, insigne giurista), attrasse nella sua orbita numerosi discepoli da ogni parte d'Occidente. Il termine «goliardo», tra varie altre ipotesi, pare derivi da Golia, un Pasquino medievale che decorava i muri e le colonne di panzane e di rebus, con grafie talvolta mostruose, di inni bacchici inneggianti alla giovinezza ed alla vita. Nulla di strano quindi che da Golia abbiano preso il nome coloro che vedevano in Bacco il più onesto e simpatico degli dei, trovando altresì nella bellezza muliebre il primo ed unico scopo della creazione universale.
La vita goliardica si diffuse rapidamente in Francia, Inghilterra, Germania. A Parigi sorse una celebre scuola d'arti liberali che avocò a sé quasi tutti i «clerici vagantes» delle regioni orientali d'Europa, mentre contemporaneamente fiorivano le scuole di Bologna per i codici, di Salerno per la medicina, di Parma e di Ravenna per l'insegnamento del diritto romano. Ma chi erano i «clerici vagantes»? È questo un altro appellativo dei giovani che aspiravano ad indossare la toga, usare il bisturi e maneggiare il pennello. La Chiesa, benché non avessero alcunché di sacerdotale, li denominava in siffatta maniera perché occorreva che in qualche modo rientrassero nel suo àmbito per essere «sapientes», ma riteneva molto opportuno aggiungere subito dopo l'aggettivo «vagantes» per distinguerli appunto dai «boni clerici», cioè i suoi figli veri, quelli che non amavano le donne, non bevevano vino, non intonavano inni alla dea di Cipro, almeno in pubblico! Così fiorisce rigogliosa e grandiosa, ancorché non sempre castigata nelle forme, la letteratura goliardica del medio evo; più famosi fra tutti i «Carmina Burana» che fanno fede della giocondità chiassosa e della giovialità spensierata di coloro che possono definirsi i precursori del Rinascimento. La produzione letteraria goliardica è però apertamente contraria alle idee ed alle tendenze universali del medioevo perché i Goliardi (nella lingua d'oil detti «bachants») sono particolarmente avversi ai mortificatori della carne, agli asceti: ed una caratteristica specifica dell'età di mezzo è appunto il trionfo dell'ascetismo sulle seduzioni della carne. Conseguentemente da tale situazione non poteva non scaturire un violento e feroce antagonismo fra i clerici «boni» e quelli «vagantes», fra i rappresentanti legittimi dell'autorità ecclesiastica (volutamente casti) ed i continuatori della tradizione pagana (eccellentemente impuri). Furono parecchi i Concili ecumenici che si occuparono della scapigliatura goliardica e che tentarono di porvi un freno. Primo fra tutti il Concilio di Sens, seguito da quello di Chateu-Gautier nel 1231, il quale emanò norme severissime contro i «mali mores» della goliardia contemporanea. Il Concilio Trevirense nel 1277 proibì ai Goliardi di cantare inni «super Santos et Agnus Dei» per non scandalizzare le genti timorate. E la Goliardia venne allora definita dalla Chiesa - con evidente sarcasmo - ribaldia, buffonia o parificata ad una congrega di istrioni e buffoni, ovviamente.
In tal modo sorge e si sviluppa quella fiorente goliardia medievale contro cui poco potevano Concili di vescovi ed editti di Principi; goliardia fieramente avversa allo spirito dei tempi ed antesignana di progresso civile, forte di virtù ma anche di difetti, denigrata e benedetta, ma sempre allegra, generosa, cavalleresca, ricca d'amor patrio, tanto pronta ai facili amori quanto alle sanguinose lotte per la libertà.

«Il vino, i dadi, le donne» furono gli dei feticci della nuova comunità errabonda: ma da questa rozza e primitiva fusione d'anime unite per il Vero, scaturì quella magnifica Universitas studiorum che inondò di luce l'alto medioevo e si affermò con l'ascesa del Rinascimento. I Baistrocchini, molto umilmente e nel loro modesto àmbito, ne rappresentano un piccolo ma grandemente significativo frammento: da uno spettacolo teatrale scollacciato, una beneficenza munifica.

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