Italiano. Al 100%. Per nulla «germanizzato», così da salire al piano più alto dellEurotower come qualcuno sospettosamente ha ipotizzato. Tanto italiano da ricordare alla Grecia che il default non è destino ineluttabile. Perché noi stavamo peggio. Anno di disgrazia 1992, lira alle corde, duplice manovra di Giuliano Amato, la prima da 30mila miliardi del vecchio conio con incorporato il prelievo forzoso sui conti correnti; la seconda ancora più severa, 93mila miliardi. A caro prezzo, ma il Paese fu salvo. Nella prima audizione davanti al Parlamento europeo, un Mario Draghi «onorato di essere considerato un candidato alla guida della Bce», ha ieri ricordato quei mesi terribili vissuti in prima linea come direttore generale del Tesoro. Nel 92, lItalia «era in condizioni forse peggiori di quelle in cui si trovano oggi la Grecia e il Portogallo», è lesordio del governatore di Bankitalia. Rispetto ad Atene, lesposizione era «10 volte superiore», e «ogni mese dovevamo emettere titoli per un importo tre volte più alto di quelli della Grecia». Situazione demergenza anche per la mancanza «di strumenti internazionali di sostegno». Ogni Paese doveva cavarsela con le proprie forze. Infatti lItalia «presentò un piano che venne considerato credibile dai mercati». E riuscì a farcela.
Ecco perché «dobbiamo credere» che anche la Grecia possa salvarsi senza dover ricorrere a ristrutturazioni del debito. Perfettamente allineato con il «no» a più riprese espresso dalla Bce, Draghi ha ribadito che ogni forma di riscadenzamento forzosa porterebbe solo svantaggi. «Niente haircuts (riduzioni del valore del capitale, ndr), no a qualunque coinvolgimento degli investitori che non sia su base volontaria», in modo da «evitare qualunque credit event, come un default (per insolvenza) o un default selettivo. I costi - ha avvertito Draghi - supererebbero i benefici e non risolverebbero i problemi». Dunque, vanno evitati salti nel buio. «Questa è la lezione di Lehman Brothers - ha aggiunto - il fallimento più caro di tutta la storia e non vogliamo ripeterlo».
Quasi inevitabile, con il dossier Grecia al centro dellaudizione, che qualcuno chiedesse al successore di Trichet spiegazioni sul suo passato in Goldman Sachs, finita nel mirino per aver aiutato Atene nel 2000 ad occultare lentità dei suoi buchi di bilancio. «È molto importante non solo aver agito con integrità ma anche essere percepito come integro - ha premesso Draghi - Gli accordi fra Goldman Sachs e il governo greco sono stati avviati prima che io ci andassi e, come ho detto tante volte, non ho nulla a che fare con questi accordi nè prima nè dopo». Sullattenzione verso i controlli della vigilanza, parlano del resto i sei anni trascorsi dal governatore in Bankitalia. «Chiedete ai banchieri italiani se sono stato troppo gentile o leggero con loro», ha sottolineato Draghi, o se come «presidente dellFsb sono stato gentile con le banche». Poi, senza mai citarla direttamente, spiega come si è comportato con la Popolare di Milano: «Una banca aveva investito molto nel settore immobiliare e la Banca dItalia le ha chiesto di aumentare il capitale».
Proprio per sottolineare lattenzione verso il rispetto delle regole, Draghi ha detto che sul rafforzamento della governance economica lEuropa si trova «in mezzo al guado» e ora è necessario tornare «a regole, monitoraggio e sanzioni sulla disciplina di bilancio». «La sorveglianza europea delle politiche nazionali di bilancio si è rivelata inadeguata». Occorre fare di più. «Non ci sono scorciatoie», perché lunica via per uscire dal debito è «il risanamento dei conti».
A lottare contro linflazione provvederà invece la Bce.
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