Il grido d’allarme di Ratzinger: «Deriva secolare nella Chiesa»

da Roma
È un giudizio realistico e disincantato, pronunciato con la pacatezza che lo ha sempre contraddistinto ma proprio per questo ancora più tagliente: la secolarizzazione, quella «superbia della ragione» che fa vivere «come se Dio non ci fosse» ha colpito la stessa Chiesa cattolica, favorendo nei fedeli ma anche nei pastori «una deriva verso la superficialità e un egocentrismo». Lo ha detto ieri mattina Benedetto XVI ricevendo in udienza i partecipanti all’assemblea plenaria del Pontificio consiglio della cultura, guidato dall’arcivescovo Gianfranco Ravasi, che in questi giorni dibatte sul tema: «La Chiesa e la sfida della secolarizzazione». Papa Ratzinger ha detto in modo forte e chiaro che i credenti ma anche i pastori non sono esenti o immuni da questo fenomeno che «mette a dura prova la vita cristiana».
Dopo aver riaffermato l’importanza del dialogo con i movimenti culturali del nostro tempo, il pontefice ha affrontato il problema della secolarizzazione, che «si presenta nelle culture come impostazione del mondo e dell’umanità senza riferimento alla trascendenza» e «invade ogni aspetto della vita quotidiana» sviluppando «una mentalità in cui Dio è di fatto assente, in tutto o in parte, dall’esistenza e dalla coscienza umana».
Questa secolarizzazione, ha chiarito Benedetto XVI, «non è soltanto minaccia esterna per i credenti, ma si manifesta già da tempo in seno alla Chiesa stessa. Snatura dall’interno e in profondità la fede cristiana e, di conseguenza, lo stile di vita e il comportamento quotidiano dei credenti». «Essi vivono nel mondo - ha aggiunto il Papa - e sono spesso segnati, se non condizionati, dalla cultura dell’immagine che impone modelli e impulsi contraddittori, nella negazione pratica di Dio: non c’è più bisogno di Dio, di pensare a lui e di ritornare a lui. Inoltre - ha detto ancora - la mentalità edonistica e consumistica predominante favorisce, nei fedeli come nei pastori, una deriva verso la superficialità e un egocentrismo che nuoce alla vita ecclesiale». Così, osserva Ratzinger, la «morte di Dio» che tanti intellettuali avevano annunciato nei decenni passati ha ceduto il posto a «uno sterile culto dell’individuo», con il «rischio di cadere in un’atrofia spirituale e in un vuoto del cuore, caratterizzati talvolta da forme surrogate di appartenenza religiosa e di vago spiritualismo».


L’invito è quello di «reagire» a questa «deriva» richiamando «i valori alti dell’esistenza, che danno senso alla vita e possono appagare l’inquietudine del cuore umano alla ricerca della felicità: la dignità della persona umana e la sua libertà, l’uguaglianza tra tutti gli uomini, il senso della vita e della morte e di ciò che ci attende dopo la conclusione dell’esistenza terrena». Un invito a non dimenticare quelle realtà ultime sulle quali il catechismo insisteva, e che sono invece scomparse dalla predicazione.

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