Per le griffe è di moda lamentarsi

(...) dal presupposto che l’attività sportiva, svolta nei pressi dei loro intoccabili fortini, è proletaria («La vadano a fare in periferia», l’uscita a vuoto di Montingelli, delegato al territorio dell’Unione del commercio), non è quindi degna dell’Ottagono e, udite udite, riduce il business. L’unico aspetto che conta, sia chiaro. Vedremo se è andata proprio così. O se le centinaia di migliaia di milanesi e non milanesi, che hanno affollato il centro storico per avvicinarsi allo sport, hanno invece incrementato gli affari. E anche di molto, secondo fonti comunali. Basta comparare gli scontrini di qualche sabato.
Ma la questione è un’altra. C’è una Milano che dorme, non accetta novità, si bea di un passato anacronistico. Salvo poi lamentarsi di come vanno le cose. È una minoranza, ma fa rumore. Al muro del pianto i commercianti sono clienti fissi. Altro che metropolitano, lo spirito che aleggia sotto la Madonnina è visibilmente provinciale. Direi bottegaio nel senso più lato del termine. Degli altri interessa poco o niente. Il comitato di quartiere di San Siro non ha voluto la ricostruzione del Palazzone, quello del Vigorelli teme di perdere il sonno per 9 concerti l’anno. Mi perdoni la sciura Galli, presidentessa del «Salotto», l’associazione delle griffe, ma un bel pallone di calcio o di volley ha un valore sociale infinitamente più alto di una borsa firmata o di un candelabro d’argento. Si dice che lo sport fa bene ai giovani e di conseguenza alle casse del servizio sanitario nazionale. Allora aiutiamo i tanti volontari del mondo sportivo milanese che lavorano gratis, ripeto gratis, per portare i ragazzi allo sport e farne cittadini esemplari.

Lo sanno, lor signori delle griffe, che il 90% di chi sta in carcere non ha fatto sport? O che i ragazzi in salute, a differenza di obesi e anoressiche, fanno sport? Evitiamo quindi di lamentarci per una decina di borsoni ammucchiati vicino a qualche negozio di lusso.
*Presidente provinciale del Coni

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