Guai ai cattivoni arriva il supereroe

Dopo L'uomo che non sapeva amare, Aviator e altri film meno noti, l'inventore, pilota e miliardario Howard Hughes ispira indirettamwnte Iron Man (Uomo di ferro) di Jon Favreau. Lo fa passando per l'omonimo fumetto della Marvel, ideato a partire da Hughes, allora ben vivo, nel 1963 da Stan Lee, Larry Lieber, Don Heck e Jack Kirby. Nella cultura popolare americana, la Marvel significa poliziotti del mondo. Alcuni di loro, espressioni massime del turgore sicuritario, hanno già esteso la vigilanza dalle pagine agli schermi: Spider Man, Hulk e I fantastici 4; stanno per fare il passo anche Captain America, Thor e Ant Man.
Nel film di Favreau - con bella ironia - Iron Man è Robert Downey jr, attore che coi poliziotti ha avuto spesso realmente a che fare, perché spesso gli hanno messo le manette per dipendenze varie. Perché scegliere lui? Perché chi ama l'eroe, anzi il supereroe, si riconoscerà nel personaggio; agli altri resterà l'interprete.
Il pubblico consono a Iron Man è quello fino ai trent'anni negli Stati Uniti; ai venti in Italia. Per non esserne sùbito irritati occorre infatti l'ingenuità. Un magnate che rischia la vita in Afghanistan avrebbe lasciato freddo Kipling: non erano certo ricchi gli avventurieri del suo Uomo che volle farsi re.

Nell'Uomo che volle farsi ferro, ovvero in Iron Man, il lato ideal-colonialista, alla Clinton, del buon americano è fortunatamente temperato dalle manovre real-colonialiste, alla Bush, del cattivo americano (Jeff Bridges). Fra le scenografie (la miglior dote di Iron Man) si rivede Gwyneth Paltrow.

IRON MAN di Jon Favreau (Usa, 2007), con Robert Dawney jr, Jeff Bridges. 118 minuti

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