Sintitola I baffi di Guareschi (Àncora, pagg. 176, euro 13,5) il gustoso volumetto che Giorgio Torelli ha dedicato al creatore di Don Camillo e Peppone. Sono pagine di affettuosità parmigiana verso il grande scrittore - sì grande anche se, come diceva Montanelli, il suo serbatoio lessicale non superava le 500 parole - con il quale Torelli giovane ebbe consuetudine professionale e amicizia. Sui baffi, Torelli discetta con amabile sottigliezza. Il tenente Giovannino se li era lasciati crescere durante la prigionia di guerra in un lager tedesco. «Baffi di un homo conscius che si conquista sul campo una fisionomia morale e da allora, pur giocoso di natura e umorista di fatto, non avrebbe più fatto sconti a sé stesso».
Baffi, anzi baffoni, avevano ornato il volto dun signore al quale Guareschi riservò sempre, e in particolare nella campagna elettorale del 48, bordate polemiche e satiriche di estrema violenza: Josif Vissarionovic Dzugasvili detto Stalin. Niente paura, Guareschi aveva una spiegazione, e Torelli - a sua volta decorosamente baffuto - se ne fa eco. «Stalin laveva pensata giusta mascherando la sua indole crudele, criminale, tirannica, persecutoria, spietata, e così nascondendo dietro il parapetto dei mustacchi i gulag e le stragi». I barbisoni staliniani, tipo cocchiere della troika di Anna Karenina o falciatore del signor conte Tolstoj, furono dunque un inganno. Quelli di Guareschi - e di Torelli - furono e sono genuini.
In queste pagine è ripercorso, con ricordi di primissima mano, litinerario dun personaggio che surclassò per popolarità e inventiva tutti i letterati del suo tempo (20 milioni di copie in 80 lingue), e che dai letterati non fu mai considerato membro della loro altezzosa confraternita. Il biografo ha affetto profondo per il biografato, anche se non ne tace gli scatti umorali. È tutto dalla parte di Guareschi nel rievocare il processo che loppose ad Alcide De Gasperi, da lui accusato a torto daver chiesto agli alleati angloamericani il bombardamento di Roma (processo che seguii come cronista del Corriere della Sera). La cocciutaggine contadina di Guareschi - se volete potete chiamarla fierezza - fu a suo modo ammirevole ma insensata: così come a suo modo ammirevole ma insensato fu il rifiuto di presentare appello. Il che gli costò il carcere. Torelli ricorda che Mario Scelba si recò a casa di Guareschi - ma non fu ricevuto - per indurlo a ricorrere contro la sentenza. Mi sembra tuttavia che un particolare sia sbagliato. Scelba è presentato (1954) come ministro dellInterno. Era invece presidente del Consiglio. Dopo le «politiche» del 53 e la bocciatura della cosiddetta «legge truffa», De Gasperi si era dimesso: nellagosto dellanno successivo morì.
Tante notazioni toccanti e interessanti emergono da questa storia di baffi. («Guareschi fu autore caro a papa Roncalli che gli avrebbe voluto affidare i commenti del catechismo... Guareschi se ne impaurì. E rifiutò, perfino a sé stesso, di commentare la singolarità dellofferta ancora segreta»). Ma una noticina nella quale Guareschi è coinvolto solo indirettamente mi ha incuriosito. Narra Torelli che verso la fine degli anni 60, allhotel Stendhal di Parma, dialogò per unora con Fernandel (interprete cinematografico di Don Camillo). «Luomo era simpatico, traboccante, tutto gesti, denti e sorrisi equini che sembravano preludere a un nitrito».
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