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Guerra tra colonnelli e sbadigli al congresso Fli E Bocchino denuncia Il Giornale per stalking

Oggi il presidente della Camera acclamato leader dai fedelissimi. Dietro le quinte veti incrociati e minacce di fuga. Granata mette alla porta Barbareschi (assente). Urso si rifiuta di fare il portavoce. Nodo sulla nomina di segretario. E il pasdaran dei processi mediatici fa la vittima e denuncia 

Guerra tra colonnelli e sbadigli al congresso Fli 
E Bocchino denuncia Il Giornale per stalking

Rho (Milano) - Come nella vecchia An volano gli stracci tra i colonnelli. Come nella vecchia An Fini decide, impone, impera. Ma questa volta col rischio di sbriciolarsi. Nella seconda giornata dell’Assemblea costituente di Rho, sotto i riflettori passa lo stato maggiore del Fli e sono sbadigli. Dietro le quinte, invece, non si dorme affatto e partono le coltellate reciproche. Motivo: la scelta del pilota pro tempore del partito, posto che il presidente della Camera non ha alcuna intenzione di schiodarsi dalla poltrona più alta di Montecitorio.

Oggi il capo verrà acclamato presidente, si autosospenderà e contestualmente disegnerà il nuovo organigramma del partito. La sua intenzione era quella di investire il suo delfino, Bocchino. Italo è l’uomo forte, capace, scaltro, devoto ma soprattutto il più vicino alle posizioni falchiste di Gianfranco. Peccato che così sarebbe stato degradato Adolfo Urso, una vita accanto a Gianfranco, ex vice ministro dello Sviluppo economico, deus ex machina di Farefuturo e coordinatore del Fli. Secondo i piani di Fini, Urso avrebbe dovuto fare il portavoce del neonato partito. «Io il Capezzone del Fli non lo faccio», il senso della sua protesta. «E se è così me ne torno alla mia fondazione» ha sbattuto i pugni sul tavolo venerdì notte l’Adolfo furioso. Ieri era tetro, scuro in volto, muto davanti ai cronisti che lo stuzzicavano sul suo ruolo futuro. Tutt’altro che in silenzio, però, davanti al capo.
Non è solo, Urso. Con lui anche Pasquale Viespoli, Giuseppe Valditara, Giuseppe Menardi, Maurizio Saia e quasi tutti gli altri futuristi di palazzo Madama. Alcuni dei quali hanno addirittura minacciato di far le valigie e sbattere la porta del Fli. In pratica una rivolta dei senatori contro il Bocchino pigliatutto. Un vero incubo per Fini: è sufficiente che un solo senatore se ne vada e il gruppo al Senato evapora.

Così, Gianfranco sotto scacco, ha provato a mediare: «Soprattutto in questo momento dobbiamo stare uniti e non dividerci proprio sugli organigrammi». Un bel sogno. Di fatto Futuro e libertà nasce già infettato dal cancro delle correnti. Come se fosse nel dna del partito di Fini: era così nell’Msi, in An e ora in Fli. S’è pensato anche di premiare Urso con altri galloni: quelli di capogruppo alla Camera, per esempio. Peccato che la maggioranza dei deputati stia tutta con il triestino Roberto Menia, anche lui sotto sotto anti-Italo. E anche a lui s’è rivolto Fini: «Roberto, so che tu e Italo non vi amate. Ma occorre superare attriti e divisioni per il bene del partito. Conto su di voi». Ottenuto il placet di Menia, il nodo Urso non s’è sciolto affatto. L'ex ministro non ci sta ad essere il grande sconfitto.
Ecco perché Fini ha convocato un summit in piena notte per risolvere la spinosa questione. Tre le ipotesi in campo: un atto di forza per promuovere il fido Bocchino col rischio che i senatori gli rinfaccino di non essere usciti da un Pdl monarchico per stare dentro un Fli dittatoriale; oppure affiancare a Bocchino altri futuristi, usando il manuale Cancelli e creando una sorta di direttorio composto da Menia, Urso, Ronchi; oppure lasciare tutto com’è e congelare gli organigrammi attuali. Una bella bega da affrontare.

Una delle tante, posto che questi tre giorni milanesi stanno politicamente scivolando via nella noia più totale. «Trova un messaggio forte, scalda la platea, detta tu la linea, Gianfranco, perché la base è anestetizzata, disorientata», un pugno di futuristi ha implorato Fini. Il quale però continua a rendere evidente l’equivoco del doppio ruolo di leader di partito e presidente della Camera. Nel pomeriggio ha fatto visita al commissariato di Rho come capo di Montecitorio vestendo per un attimo i panni di esponente politico a caccia di consenso.

In effetti la pancia futurista ha fame di pathos anche se la testa sa bene che non è tempo di toni da sfida finale. Per ora la sfida è tutta interna. E che il clima sia da resa dei conti lo dimostra anche Granata quando dal palco urla a Gianfranco: «Approviamo un codice etico al nostro interno! Perché non possiamo più permettere che uno dei nostri vada ad Arcore!». Bocchino e Fini applaudono convinti.

Barbareschi, che ieri non s’è neppure fatto vedere, è avvisato.

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