Guerra alla Svizzera per coprire le colpe della crisi

di Geminello Alvi

Si sia onesti: è stato finora ben misero il risultato delle gran chiacchiere spese per la riforma della finanza. Eppure ovunque è stata rifornita di denaro pubblico tra i complimenti per aver così sventato il peggio. Ma tacendo che si sono anche riavviati pari pari tutti i vizi di una crescita nutrita dai derivati in Borsa, e dagli arbitri concessi ai commerci cinesi. In breve i solenni consessi dei ministri più potenti non sono riusciti a calmare neppure i nuovi profitti lucrati da banchieri di Wall Street coi dollari della Federal Reserve. E però in questi G20 di grandi promesse e pentimenti, non c’è stata una volta sola che la croce non sia toccata ai paradisi fiscali, e quindi agli svizzeri. Come se tutti i guai di una crisi nutrita dagli eccessi degli Stati Uniti e dai loro tornaconti coi cinesi, fossero insignificanti, rispetto ai torti della Svizzera. Il che è presumere, e mentire, però un po’ troppo. Perché è pur vero che nei film di James Bond vagano sempre algidi banchieri di Zurigo coi computer dentro la valigetta.
Ma anche quei miliardi, lucrabili per via dello scudo fiscale, sono una cifra non risolutiva. E viene da credere che la guerra a leggi e banche della Confederazione serva ovunque solo ad altro: a distogliere la pubblica opinione dalle colpe e dai veri rimedi ai guai presenti.
Insomma direi che stavolta gli ipocriti non sono gli svizzeri. E aggiungerei un biasimo preoccupato per le maniere, non molto migliori di quelle di Gheddafi, esibite dai vari governi europei. Chiunque ci abbia vissuto davvero in Svizzera, sa infatti che essa è creatura preziosa, e ne sente dentro il cuore per sempre una certa nostalgia. Nazione avvezza certo alle piccole cose; e nei secoli però altrettanto pignola nel proteggere un’idea di armonia e libertà.
Fuori dei suoi confini si impazziva con Napoleone o Hitler, o adesso con l’euro, moneta pensata tra l’altro da costoro per primi. Mentre la Svizzera resisteva gelosa del particolare, garante in grado di offrirlo a chiunque. Fosse costui anche Lenin, esule a Zurigo durante la guerra.
Insomma quella Svizzera in cui gli stupidi vedono soltanto meschinità venale, è pure patria di alti ideali, universali e perciò particolari. Come era anche il mite Henry Dunant, svizzero sconvolto dai massacri di Solferino, e morto in miseria per creare la Croce Rossa. In conclusione la ferocia esibita al fine d’omologare Svizzera e svizzeri alle manie, e alle vanità, inesauste di ministri verbosi, fa del male agli europei. Toglie loro una pausa, mina una isola di libertà preziosa per tutti.
Detto in altri termini: si vuole riformare la finanza? Bene, allora si vincoli la politica monetaria delle banche centrali a riferirsi non solo all’indice dei prezzi al consumo. Si tenga in conto anche quella delle attività finanziarie. Si fosse fatto per i titoli sui mutui e sugli altri non ci sarebbe stata la crisi. Si vuole poi ostacolare la speculazione? Si aumentino intanto i margini da versare sui derivati. In altri termini si rallenti quella velocità di circolazione della moneta che la venalità degli americani ha gonfiato senza sosta. E si renda nominativa la titolarità di operazioni finora astratte. Altro che verbose commissioni coi saputi di sinistra; si dicano queste cose agli americani. Allora sì si sarebbe più equilibrati.

Oppure, come avviene, ci si adatti invece a pagare il conto di un dollaro svalutato, di una finanza gonfiata dal patto cinoamericano. Ma si lascino in pace la libertà di risparmiare dove e come si vuole. E viva la Svizzera.

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