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L'azzardo di Biden e il rischio escalation: cosa può succedere dopo i raid

L'attacco nello Yemen segna un punto di svolta nella strategia mediorientale di Joe Biden. Ma i dubbi strategici non sono pochi, sia a livello interno che internazionale

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La scelta del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, non è stata delle più semplice. Colpire in Yemen insieme alle forze britanniche significava dare una risposta molto dura agli attacchi degli Houthi che nelle ultime settimane hanno incendiato il Mar Rosso e messo in pericolo la sicurezza della rotta di Bab el -Mandeb. Ma non è un caso che questa risposta sia giunta dopo mesi rispetto all'inizio dell'escalation. Biden sapeva di dovere calcolare in modo molto preciso i rischi di questa ritorsione. Da un lato vi sono i pericoli di una reazione più incisiva delle forze sciite sul traffico commerciale dell'area. Dall'altro lato, i timori sul fatto che questo tipo di attacco sarebbe stato letto come un attacco nei confronti di tutta la costellazione filoiraniana del Medio Oriente, scatenando perciò una risposta da parte di tutte le milizie locali.

Il problema è soprattutto legato al modo in cui gli Houthi e i loro alleati possono rispondere a questo attacco sul suolo yemenita. Fino a questo momento, le operazioni navali angloamericane erano circoscritte in un ambito ristretto, con droni e missili intercettati in modo da evitare danni alle navi commerciali. Un elemento in più si era aggiunto con l'attacco contro i barchini che avevano tentato di abbordare un cargo al largo del Mar Rosso. Ma tutto era rimasto circoscritto alla reazione al singolo attacco. Il bombardamento di questa notte eleva inevitabilmente il livello della tensione dopo l'ultimo massiccio raid Houthi e dopo l'ultimo avvertimento da parte della Casa Bianca e degli alleati.

Ma dal momento che gli avvertimenti occidentali non avevano sortito gli effetti desiderati, in quanto non avevano fermato l'escalation filorianiana, molti osservatori si chiedono se adesso da Sanaa e da Teheran arrivi l'ordine di fermare i raid oppure si produca un nuovo (magari più massiccio) attacco, che possa coinvolgere tutte le forze sciite dall'Iraq al Libano. Con il punto interrogativo sulle prossime mosse Usa e Uk.

Qual è la prossima opzione di Washington se nemmeno questi bombardamenti avranno un risultato concreto nel fermare l'escalation del Mar Rosso? La domanda interroga anche gli apparati Usa, preoccupati dallo scenario di una crisi regionale potenzialmente metastatizzata o che rimanga tale almeno fino alle prossime elezioni presidenziali. Biden non può permettersi un'altra guerra "infinita" che tanto ha pesato sulla campagna elettorale che fece vincere Donald Trump. E con la una leadership già fragile, il rischio di non saper dare risposte concrete all'opinione pubblica (già spaccata sugli aiuti all'Ucraina e sul sostegno a Israele) è alto. Questo vale sia per quanto riguarda l'opposizione che per quanto riguarda il fronte interno, quello democratico, che specialmente sulla guerra a Gaza ha posizioni molto diverse e non sempre conciliabili. L'attacco agli Houthi è una risposta a un pericolo per l'economia globale e alle ritorsioni sciite per il sostegno allo Stato di Israele.

Ma l'ipotesi di una guerra su larga scala con gli Usa protagonisti segna un potenziale punto di frattura rispetto a quelle anime dem desiderose di arrivare a una stabilizzazione della regione.

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