Giancarlo Minardi, 63 anni, dall85 al 2005 è stato in Formula Uno con la casa di Faenza che portava il suo nome. Ora collabora con la Csai, la federazione auto, occupandosi di piloti giovani e formule minori.
«A 18 anni - ricorda - disputai un minirally in Romagna. Si chiamava gara sprint, parliamo della preistoria per le quattro ruote».
Quali differenze, sul piano dei rischi, tra F1 e rally?
«Sono mondi completamente diversi, gli appassionati lo sanno. La pista è ripetitiva, il rally improvvisato, con tante incognite».
Anche nella versione Ronde, del Savonese?
«Lanno scorso un incidente del genere fu fatale al ct del ciclismo Franco Ballerini, stavolta limprevisto è stato il guardrail. Queste prove sono molto diffuse, in svariate le località della penisola, teoricamente sono meno pericolose di un rally storico come Montecarlo».
Le ultime tragedie in F1 risalgono al 94, nel terribile weekend di Imola persero la vita Ratzenberger e Senna.
«Il gran premio in circuito offre sicurezze nettamente superiori alle gare di turismo e vetture di serie. Incrociamo le dita, poiché parliamo dello sport più pericoloso al mondo, in cui errori e fatalità restano dietro langolo, ma le regole sono diventate più efficaci, da una quindicina danni».
Per un pilota è agevole passare dal gp al rally?
«Per nulla, tantè che nei miei 21 anni di F1 mai avevo dato ai piloti il nullaosta a correre fuori pista. Qui peraltro ci sono interessi commerciali, Kubica correva con una macchina del gruppo Renault e in una gara minore».
Cosa consiglia ai rallysti della domenica?
«Di usare tutte le precauzioni, nonostante esperienza e passione, utilizzino gli strumenti giusti: cinture di sicurezza e hans, ovvero il supporto che in ogni competizione tiene il casco appoggiato alle spalle, evitando i colpi di frusta».
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