Due vetrine con un'insegna discreta occhieggiano con modestia dalla strada. Per entrare si suona il campanello, ed è quello che facciamo, con un gruppo di amici la prima volta che, da completa neofita, anni fa, vengo accolta nella Trattoria Settimio. Ci apre un signore distinto e un po' cerimonioso in pullover di cachemire giallo. Solo dopo ripetute visite imparerò il suo nome. È Mario, figlio di quel Settimio che nel 1932 aprì, negli stessi locali, una fiaschetteria, semplice e senza pretese. Fu solo negli anni '50 che Settimio avendo fatto installare la cucina, avviò, probabilmente senza immaginarlo, quella che sarebbe diventata un'icona romana del mangiar bene. Quella prima sera, a un tavolo d'angolo con degli amici, non sapevo niente del ristorante né della sua fama, eppure, ci volle poco perché ne restassi affascinata. Saranno state forse le polpette sublimi di Teresa, la stracciatella evocatrice di atmosfere familiari perdute, le patate bollite con olio e sale contorno più da ospedale che da ristorante, eppure squisite nella loro semplicità. Ma dietro quella cucina familiare che trasudava autenticità e offriva rassicurazione, dietro ai pochi piatti del menù raccontati a voce, alle tovaglie bianche senza pretese, e ai modi diretti di Mario e Teresa avevo intuito strati di complessità, intrecci di relazioni, convinzioni personali, valori, e idee che a ogni visita mi avevano attratto irresistibilmente a tornare. Il desiderio di sentirmi accolta e nutrita era accompagnato dal bisogno di conoscere e ascoltare nuove storie.
A distanza di anni, una prospettiva di chiusura aleggia sulla trattoria Settimio perché Mario e Teresa, dopo decenni di lavoro, stanno pensando di godersi il riposo. Per questo sento il bisogno di farmi raccontare da loro, i diretti protagonisti di quest'esperienza durata più di sessant'anni, la loro storia fatta di cibi e ingredienti semplici che si ripetono all'infinito, di racconti intrecciati, di incontri con ospiti eccellenti, di immagini catturate negli anni. Un tesoro di conoscenze, abitudini e momenti impressi nella memoria.
Mario e Teresa sono sposati da cinquant'anni e lavorano insieme da altrettanti. Negli anni hanno imparato i segreti del lavoro di squadra. Tra una schermaglia e un'alzata di voce, cui di tanto in tanto ai clienti è dato di assistere, risulta evidente la loro abilità di fare leva sulle loro rispettive aree di forza. Quanto alle debolezze, dopo cinquant'anni, sembra che conoscano bene anche quelle ma sanno conviverci e massimizzarne i benefici. Mario è l'addetto alle relazioni. Prende le prenotazioni, accoglie i clienti, li intrattiene con un umorismo colto e intelligente.
Un Guttuso fa mostra di sé appeso alla parete della sala ristorante. È un ricordo del pittore, visitatore abituale della trattoria che ne fece omaggio ai proprietari. Da pittori a scrittori, registi, politici e famosi avvocati, gli ospiti eccellenti che visitano e hanno visitato la Trattoria Settimio negli anni sono innumerevoli. Mario ne ricorda molti. Alcuni diventarono amici, come Mario Monicelli. Altri, come Moravia, benché visitatori abituali, sono ricordati come prepotenti, esigenti e un po' scontrosi. Da Pasquale Festa Campanile, cliente abituale e affezionato, a Renato Rascel e Delia Scala che erano stati tra i primi a frequentare la trattoria per i loro dopo-teatro, a nomi dello spettacolo come Salvo Randone e Paolo Stoppa, gli ospiti illustri, sono una folla di nomi nella memoria di Mario. Lunga anche la lista dei politici, tra cui Mario ricorda Achille Occhetto e Giovanni Goria, clienti immancabili. Ancora oggi, i tavoli non sono numerati come è d'uso nelle trattorie ma portano il nome dei loro storici occupanti. Non ci stupiremo allora nel sentire Mario comunicare gli ordini in cucina dicendo: due polpette e due melanzane al tavolo di Randone, o una stracciatella e un involtino al tavolo di Stoppa. Un'altra, questa delle uniche, e irripetibili caratteristiche della Trattoria Settimio.
Sono molte le storie che Mario potrebbe raccontare, ma sono anche molte quelle che, invece, non può raccontare. I clienti, dice Mario, nel tempo diventano anche un po' amici, e a volte fanno confidenze che bisogna saper mantenere segrete. Le storie che ascolto da lui sono dunque quelle condivisibili. Le altre non me le racconterà mai e rimarranno per sempre custodite, come è giusto che sia, nella sua memoria. C'è la storia del giovane amico di Mario, Tullio, detto «er Monnezza» perché era un grande mangiatore. Fu proprio Tullio che iniziò a consegnare al Teatro Sistina, a Renato Rascel e Delia Scala, pasti da asporto in piccoli contenitori di alluminio. Inizialmente Mario aveva dubbi, vista la fama del «Monnezza», che i pasti potessero arrivare intatti a teatro. E invece Tullio stupì tutti. I pasti arrivarono a destinazione e furono così graditi che Rascel e la Scala, insieme a tutta la troupe divennero assidui frequentatori della trattoria, dando così inizio alla fortuna del locale. C'è poi la storia di Bice Valori, che Mario imita benissimo: adorava le patate di Teresa e si lamentava regolarmente di quelle che le cucinavano a casa che somigliavano invece, diceva lei, a delle saponette. Quella di Mario Monicelli che un giorno, inaspettatamente, invitò Mario a raggiungerlo in Cappadocia sul set di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno perché recitasse una parte nel film al fianco di Alberto Sordi. E poi quella di un signore seduto a un tavolo che sembrava un barbone e invece si era scoperto essere Lucio Dalla. E quella di Achille Festa Campanile che voleva mangiare esclusivamente le polpette di Teresa e un giorno che erano finite si irritò talmente tanto che fu difficile convincerlo a mangiare qualcosa di diverso. E c'è la storia di Salvo Randone e Paolo Stoppa che non andavano affatto d'accordo e dovevano essere messi a tavoli opposti così che non ci fossero occasioni di discussione.
Mario e Teresa hanno rispettivamente 80 e 73 anni e si avvicina un futuro in cui la meravigliosa esperienza che hanno costruito dovrà proseguire senza di loro. Mario dice che sono pronti a pensare a un meritato riposo e vorrebbero lasciare le redini nelle mani di qualcuno che abbia la sensibilità necessaria per proseguire la loro avventura nel rispetto della tradizione. Sarebbe bello pensare che gli irrinunciabili valori di qualità, passione, e autenticità combinati con un senso di genuina familiarità che li caratterizzano continuino a guidare la trattoria nel futuro anche quando non ci saranno più loro alla conduzione.
Quanto a me, egoisticamente, non posso che sperare che questo futuro tardi a venire, così da poter godere il più a lungo possibile delle polpette di Teresa e della straordinaria accoglienza di Mario.
A coloro che avendo letto fin qui si stiano chiedendo perché hanno trovato solo tangenziali riferimenti all'esperienza del palato devo ammettere ogni volta unica nel suo ripetersi sempre uguale dico che la Trattoria Settimio è ancora in piena operatività. Finché lo sarà, quell'esperienza sarà bene provarla anziché leggerla.
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