Ha fatto rinascere una piramide e adesso è il suo custode

Dopo 20 anni in Alto Adige è tornato nel viterbese e a colpi di zappa ha riportato alla luce un misterioso tempio etrusco

Ha fatto rinascere una piramide e adesso è il suo custode

Dalla cima sembra di essere sospesi al di sopra di un mare bianco. È una giornata limpida ma la foschia bassa nasconde tutta la valle del Tevere e il paese di Giove, a nord-est, galleggia sulle nuvole. Dall'alto, da un aeroplano, questa sommità ha i tratti di un dio Fauno che spunta in mezzo al bosco. E' uno dei luoghi più misteriosi del centro Italia. Ci si arriva salendo trentasette gradini, ventotto più nove, in un'ascesa accompagnata da fori e canali di scolo. «Mio padre lo chiamava il sasso con le scale. Non c'era tempo di pensare a cosa ci fosse sotto la vegetazione che la ricopriva quasi del tutto. Si soffriva la fame e si portava solo rispetto».

Quando Salvatore Fosci si è trovato di fronte questo colosso rupestre gli sono tornate alla mente immagini di bambino, di quando girava per il bosco tra roverelle, cerri, muschi che si arrampicano su ciclopici blocchi di peperino, sarcofagi, antichissime vasche di pietra per la pestatura dell'uva. È sempre stato lì, ma un labirinto di rovi e arbusti l'aveva ricoperta quasi per metà: un masso lavorato di otto metri di altezza, sedici di larghezza, di forma piramidale, con sommità piatta, corredata da gradoni e due vani, che può ricordare le piramidi Maya. Era stata avvistata anche da occhi esperti durante una spedizione alla fine degli anni Ottanta organizzata da alcuni archeologi del posto del Gruppo Archeologico Polimartium. Ma la persona che l'ha riportata alla luce, con un silenzioso ed eccezionale lavoro di pulizia è Salvatore Fosci da Bomarzo.

L'altare etrusco è da pochissimi anni una delle attrattive del viterbese, superando per interesse la vicina ultima casa di Pasolini grazie a questo esploratore e custode volontario che in un mese e mezzo, con zappa, ascia e pala, l'ha dissotterrata. Il gigantesco blocco di piperino è stato trasformato fino al Medioevo, ma certamente scolpito almeno in epoca etrusco-romana. O anche precedente, dice Salvatore, che, pur non essendo archeologo, arriva con l'amore per questi luoghi, un fiuto prodigioso e con la logica a scoprire tracce risalenti addirittura al neolitico, di cui ha da poco fatto segnalazione alla Soprintendenza. Altare sacrificale, tomba, monumento astronomico. Gli interrogativi sulla piramide sono ancora tanti, ma Salvatore, che conosce ogni centimetro di questo megalite, ha una sua teoria: era un enorme, antichissimo «frigorifero». Sacro certamente, legato a qualche Dio, ma un luogo soprattutto necessario, in qualche modo funzionale alla vita della comunità. Una comunità che probabilmente abitava al di sopra, su un pianoro affacciato sulla valle e riparato dalle correnti. Sull'altare-frigorifero si svolgevano presumibilmente sacrifici di animali, ma vi si conservava anche la carne: esposto a nord, prende in pieno la tramontana, è un posto sempre fresco e il sole in inverno lascia l'ultimo spigolo a mezzogiorno. Bomarzo è conosciuta nel mondo per i suoi mascheroni di pietra, luogo esoterico e pauroso. Ma i dintorni, verso Soriano, sono boschi in cui la natura, per secoli e millenni, è stata legata al divino, dove la pietra di piperino è stata scavata per ottenere case, stalle, tombe, vasche, luoghi di fascino magico di cui aveva intuito il valore favolistico Pierpaolo Pasolini, che qui vicino girò il suo Vangelo secondo Matteo e decise di abitare gli ultimi anni prima della morte.

Salvatore è tornato a Bomarzo dopo vent'anni trascorsi in Alto Adige, e tutto è iniziato dalle corse nei boschi. Era un modo per rientrare in contatto con la sua infanzia. Vedeva sentieri coperti dalla vegetazione e ha iniziato a riaprirli uno ad uno. Sentiva parlare di una piramide, ma come si parla di un animale fantastico del bosco. E alla fine, nel febbraio del 2008, l'ha ritrovata, e con delicatezza, «senza motosega, solo con mezzi manuali», l'ha liberata. L'associazione Archeotuscia l'ha nominato socio onorario, seguita ora anche dalla Pro Loco di Bomarzo. La soprintendenza dei Beni Culturali gli ha inviato i suoi apprezzamenti. Da quel momento ogni angolo di questi boschi di querce, muschio di smeraldo e blocchi di piperino anticamente eruttati dal vicino vulcano Cimino, ha iniziato a parlargli. Ha trovato le iscrizioni romane TER, che indicavano i limiti dei confini. Ha imparato a distinguere un frammento medievale da uno romano e da quelli di epoche precedenti. Ha elaborato una teoria personalissima sul bosco sacro di Bomarzo esposta nel libro Vulcano Nascosto (Stamperia del Valentino, che gli pubblicherà anche I misteri della Piramide di Bomarzo, con Luciano Proietti). Dal terreno dove coltiva noccioli, viti e olivi e dove scolpisce la pietra si muove ogni giorno per scoprire e tutelare un territorio che offre lo spettacolo di stratificazioni di storia nella storia: Medioevo, Roma, civiltà etrusca, popoli pre-etruschi, e forse, se le scoperte vengono confermate, il neolitico. Salvatore ci accompagna lungo un letto di foglie di querce cadute appena imbiancate dalla brina.

Si entra subito nella via Cava, una sorta di canyon scavato nel piperino da cui i romani estraevano la pietra. Ci mostra i livelli dello scavo, un masso a terra con incise impronte di piedi, segno di passaggio frequente. E all'improvviso, nella discesa verso la valle del Tevere oltre giunchi, roverelle e miracolosi tralci di viti antiche, appare l'altare piramidale. La costruzione è scolpita solo nel lato verso nord, con una lunga fila di gradini a sinistra e altre due più piccole al centro e a destra. I canali di scolo lasciano intendere che qui venivano uccisi animali. Bisogna immaginare questo luogo ricco di sorgenti e percorso da uomini che abitavano i blocchi di pietra eruttati dal vulcano. Sopra e al di sotto, vita e morte convivevano a pochi passi: tombe antropomorfe spuntano nella discesa verso il cimitero paleocristiano di Santa Cecilia, con decine di sarcofagi, alcuni di grandi proporzioni, come se servissero per uomini di notevole altezza per l'epoca (circa un metro e novanta) segnati da croci che sembrano terminare con code di pesce.

Nella risalita incrociamo un gruppo di donne di Bomarzo dirette proprio alla piramide per una passeggiata pomeridiana. «Scusi, per la piramide?», domanda scherzando Salvatore. «Fai la guida?», gli chiedono. Lui si schernisce. «Macché».

«Chi è guida più di te» lo salutano, e lui continua a camminare scoprendo sul terreno davanti ai nostri occhi la possibile punta di una selce lavorata del passato, come se una bussola segreta lo portasse sempre sulla pista giusta della storia.

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