«Hamas negozierà a oltranza fino a un accordo con Fatah»

Sui negoziati della Mecca con Abu Mazen incombe il nodo del riconoscimento di Israele

Reclusi in una reggia e condannati all’accordo. La sovrana condanna è stata pronunciata. Non esplicitamente, ma assai concretamente. «Spero che i nostri fratelli non abbandonino questo luogo santo senza aver trovato un’intesa e senza aver giurato di metter fine allo spargimento di sangue». Il discorsetto di saluto sciorinato dal sovrano saudita, re Abdallah, all’arrivo alla Mecca del presidente palestinese Abu Mazen, del capo di Hamas Khaled Meshaal (che vive a Damasco) e del premier fondamentalista Ismail Hanyeh non lascia spazio alle interpretazioni. Quello convocato nel palazzo reale, affacciato sulla Grande Moschea del primo luogo sacro dell’Islam, non è un summit, ma una sorta d’ordalia.
L’estrema prova concessa ai duellanti palestinesi per continuare a godere del sostegno della grande madre saudita. Anche perché la guerra civile esplosa nella Striscia di Gaza «serve solo gli interessi dei nemici della nazione arabo-islamica e se continuerà – avverte re Abdallah - priverà i palestinesi dei frutti della loro eroica lotta». Come dire o vi mettete d’accordo subito o vi arrangiate per sempre.
Per questo Mazen, Meshaal, Hanyeh e gli altri gerarchi di Fatah e del gruppo fondamentalista non possono fallire. Chi mollerà sarà colpevole non solo dinanzi ai palestinesi, ma all’intera “umma” sunnita. E a salvare Hamas non basteranno le finanze e gli appoggi iraniani. Quei soldi e quegli aiuti non possono cancellare la tradizione di una formazione figlia dei Fratelli Musulmani, quintessenza dell’ortodossia sunnita. Dunque alla Mecca si lavora a oltranza. «Siamo venuti qui per metterci d’accordo e non ce ne andremo se non avremo raggiunto l’intesa», ha detto Meshaal. Leciti i dubbi sulla sua sincerità. Nessuno, dunque, lascerà le reali sale prima di aver distillato la formula capace di dar vita a un governo di unità nazionale e di mettere fine alla lotta fratricida. Ci sarà il miracolo alla Mecca?
Hamas vuole continuare a guidare il governo senza concedere ministeri qualificanti a Fatah, senza riconoscere l’esistenza d’Israele, senza rinunciare alla violenza e senza ratificare gli accordi di pace già siglati da Autorità palestinese e Stato ebraico. Continua insomma a voler ignorare le tre richieste fondamentali della comunità internazionale nella speranza di poter sfruttare la patente di rispettabilità offertagli da un accordo di governo con Fatah. Un obbiettivo espresso chiaramente da Meshaal quando auspica che «la comunità internazionale rispetti i nostri accordi, riconosca la realtà palestinese e si confronti seriamente con essa».
Mazen e i capi di Fatah puntano a ottenere posizioni di compromesso accettabili dagli interlocutori internazionali. Soprattutto in vista dell’incontro del 19 febbraio tra il presidente palestinese, il segretario di Stato americano Condoleezza Rice e il premier israeliano Ehud Olmert.

Oltre a puntare al controllo di Esteri e Finanze, Mazen pretende l’impegno di Hamas a non intralciare i negoziati da lui condotti, a non contestare i passati accordi di pace e a riconoscere implicitamente Israele accettando le trattative per uno Stato palestinese sui confini del ’67. La formuletta sembrava fino a ieri notte una sorta d’insolubile rebus. Le due delegazioni, a quanto pare, continueranno a discuterne almeno per tutt’oggi. E poi ancora avanti fino a quando un’intesa non li separi.

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