da Roma
Ci sono temi che fanno parte della nostra realtà, anche se noi non lo vorremmo. Per questo chi pretende di raccontare la realtà deve affrontarli; e anche se, nel farlo, rischia qualcosa. Ecco perché per affrontare con Il figlio della luna il doloroso ma anche fertile tema dell'handicap, Raifiction ha messo in campo un buon regista, una capace sceneggiatrice, e soprattutto un'eccellente attrice. Perché l'eccezionale storia vera di Fulvio Frisone, affermato fisico nucleare nonostante sia dalla nascita affetto da tetralgia spastica distonica, potesse diventare un simbolo. «Il simbolo di come la vita vada apprezzata e difesa sempre - nota il direttore di Raifiction, Saccà - anche quando sembra una vita inutile».
Gianfranco Albano, Paola Pascolini e Lunetta Savino - rispettivamente direttore, scrittrice e interprete - sono dunque responsabili del film tv in onda giovedì su Raiuno: «liberamente ispirato alla storia di Frisone e di sua madre Lucia - racconta la sceneggiatrice - una vera mamma coraggio. Una donna che fin dalla nascita di Fulvio ha combattuto con i denti e con le unghie per fare in modo che il figlio venisse prima accettato dagli altri, e poi messo nelle condizioni di realizzare i suoi sogni. Arrivando fino al punto di far modificare una legge che prevedeva per i ricercatori universitari una sana e robusta costituzione». Adoperando un casco speciale con un braccio elettronico che parte dalla sua fronte, il ragazzo non solo si è laureato, non solo oggi è un fisico nucleare, «ma fra un mese diverrà direttore del centro studi sull'inquinamento di Melilli, in Sicilia», ha annunciato ieri in conferenza stampa (orgogliosissima) la madre dello scienziato. Madre a cui, con impeto e umanità, dà corpo una notevole Lunetta Savino. «Per prepararmi al ruolo ho voluto incontrare questa donna straordinaria - racconta l'attrice - e vivere un po' con lei e col figlio. Ci siamo studiate a vicenda, in silenzio».
Ciò che soprattutto preoccupa i realizzatori di Il figlio della luna è la gravità del tema. «Non volevamo fare un film cupo, triste, senza respiro - precisa il regista -. Ma la soluzione è stato proprio il carattere di Lucia: troppo irruente e appassionato, per avere il tempo di piangere su se stesso. E tale da conferire a tutta la vicenda un leggerezza speciale». Particolarmente impegnativo il lavoro di Paolo Briguglia, cui spettava il ruolo del protagonista gravemente spastico.
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