Mi hanno beccato. Mi sono fidato e mi hanno beccato. L’anno scorso il commercialista mi chiama e mi dice che devo dichiarare al fisco la mia casetta americana. «Però non paghi nulla, è solo una formalità». E se non lo faccio? «Beh, potrebbero beccarti, perché tu la casa l’hai pagata con regolari bonifici bancari». Appunto: se rispetti le regole, non hai scampo. Dunque l’ho dichiarata, la mia casetta, e adesso devo pagare. Dico «casetta» perché è un prefabbricato di 120 metri quadrati in mezzo al deserto del Nevada, e mi è costata meno di 200.000 euro, cioè meno di un box auto nel quartiere di Roma dove vivo (in affitto). È una casa molto bella in un luogo splendido, non lo nego: ma questo non fa di me un uomo ricco. Che l’invidia sociale sia il motore autentico di ogni politica redistributiva è evidente in casi marginali come questo: possedere una casa all’estero equivale automaticamente ad essere «ricchi», e dunque è un comportamento deviante che va punito. Al professor Monti, alla Cgil e al Pd non importa un fico secco se posseggo un grattacielo a Manhattan affittato a una multinazionale o una capanna a Zanzibar dove trascorro le vacanze raccogliendo conchiglie: devo pagare perché, secondo loro, sono un privilegiato. Vorrei umilmente ricordare a Monti, a Bersani e alla Camusso che io già versato allo Stato italiano quasi l’equivalente del valore della casa americana: siccome infatti mia moglie e io siamo costretti a pagare le tasse, e guadagniamo più di 75.000 euro l’anno, per risparmiarne 200.000 abbiamo dovuto guadagnarne quasi il doppio. Non è questa un’autentica vergogna? Le tasse sulla mia proprietà, a ogni modo, io le pago già: al tesoriere della contea di Nye, Stato del Nevada, che provvede in cambio a tenere pulita una parte della strada di accesso e che paga lo stipendio allo sceriffo. È uno scambio equo fra me e la contea, e non mi lamento. Ma che ci azzecca lo Stato italiano? Quali servizi mi offre in cambio dello 0,76% del valore della proprietà che ha deciso di estorcermi ogni anno? Mi chiedo se il governo italiano abbia il diritto costituzionale di tassare una proprietà sul suolo degli Stati Uniti. Il decreto prevede un credito d’imposta «pari al valore di eventuali tasse patrimoniali pagate nel Paese estero»: e questo in parte mi fa piacere, ma anche mi fa imbufalire, perché rende evidente che si tratta proprio di un furto, senz’altra giustificazione che placare (provvisoriamente) la fame di denaro dello Stato e le rivendicazioni populiste dell’ex opposizione. Pagherò la mia Ici transnazionale, perché purtroppo non ho alternative. Spero che molti altri proprietari di case all’estero siano stati meno stupidi di me, e non abbiano dichiarato nulla.
Nella situazione in cui ci troviamo, sottrarre risorse al fisco è come rifiutarsi di dar soldi ad un eroinomane. Qualunque promessa vi faccia il governo, è sicuro che non la manterrà, perché il vizio è diventato malattia, e la malattia è diventata cronica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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