Maurizio Cabona
da Torino
«Non odia quelli che combatte, non ama quelli per i quali combatte. La compiango». Cè tutto un destino nelle parole rivolte dallesploratore Robert Duvall allufficiale di cavalleria Jason Patric in Geronimo, scritto da John Milius e diretto da Walter Hill (1992, dvd Columbia), grande coalizione che unisce diversità complementari e analogie compatibili, che rendono Geronimo indimenticabile, mentre il coevo Balla coi lupi di Kevin Costner è solo interminabile. Giusto dunque che il Torino Film Festival (fino a sabato) onori - dopo Milius - Hill, presentandone i film e pubblicando un magnifico catalogo, curato sempre da Giulia dAgnolo Vallan, tenace nel proporre la Hollywood che (ri)fonda i miti, anche quelli sudisti, da Hill evocati nei Cavalieri dalle lunghe ombre (1980, dvd Fox).
Signor Hill, lei ha appena finito di girare Broken Trail (»La pista spezzata»)...
«... Con Duvall e Greta Scacchi. È la storia di cinquecento cavalli portati dallOregon nel Wyoming: un western verso est».
Lei fa solo western. Anche i I guerrieri della notte, Danko, Ricercati ufficialmente morti e Ancora vivo lo sono. Con metrò e auto al posto dei cavalli. E western non politicamente corretti.
«Se avessi ascoltato gli incaricati degli studios, sempre preoccupati di essere conformi, già Geronimo avrebbe dovuto esserlo. Ma ho fatto il film come volevo io. Una volta finito, modificarlo sarebbe costato. Ed è rimasto così».
Film fatto capo ha. Ma ormai lei è famoso. Prima, poteva non ascoltare?
«Quando giravo 48 ore (1982, dvd Paramount), mi dissero di far recitare Eddie Murphy come Richard Pryor: pensavano che solo così un afroamericano fosse comico. Né Murphy, né io ascoltammo. Il film incassò lo stesso».
Lei è stato assistente alla regia di Woody Allen in Prendi i soldi e scappa (1971). Ma i suoi modelli sono altri.
«Ford, Walsh, Kurosawa, Peckinpah... Ho conosciuto Sam, per il quale ho scritto la sceneggiatura di Getaway (1972, dvd Wb)».
Continui.
«Non sta a me dire se e quanto i miei film somiglino e valgano i suoi. Posso però dire che il nostro rapporto sopravvisse al lavoro insieme (Peckinpah era brusco - Ndr)».
I registi che cita sono come anelli di una catena.
«Sì. Kurosawa guardava a Ford. Ford guardava a Griffith. Griffith guardava a Dickens».
La Hollywood anni Trenta e Quaranta era grande solo nei risultati o anche di per sé?
«Solo nei risultati. Lambiente era molto chiuso. Dopo, è stato più facile girare film. Ma il vecchio metodo aveva qualità evidenti da quando gli studios sono diventati delle multinazionali. Se oggi è più facile girare un film, è più difficile controllarlo».
Anche lei ha visto il suo primo film di successo, I guerrieri della notte (1979, dvd Paramount), manipolato dalla produzione.
«E qui a Torino infatti mostro la mia versione, anziché quella circolata. Mi negarono fra laltro dinserire Orson Welles come voce fuori campo. Nel film si sente dunque la mia voce, ma non è lo stesso».
Perché non vollero Welles?
«Era una spesa che non faceva guadagnare».
Lei su Welles si è formato?
«Anche. Da ragazzo (Hill è del 1942 - Ndr), nei cinema di quartiere di Los Angeles vedevo film di Antonioni, Bergman, Fellini, Kurosawa, Monicelli, Wajda... Oggi non è più possibile ed è triste: c'è stata l'omogeneizzazione dei prodotti».
I grandi Festival dicono di combatterla con un «cinema multiculturale». Ma io vedo solo un cinema multietnico.
«In effetti cè una sola cultura: quella del mercato. Al massimo prodotti etnici possono entrarci, come la musica hip hop».
Lei racconta i vinti: sociali (le bande giovanili), politici (i confederati), storici (i pellerosse).
«Vuol sapere come sono sopravvissuto in questi trentanni? Grazie agli incassi. Proprio perché diversi dagli altri, i miei film - salvo Driver e Strade di fuoco - hanno incassato bene. Mi sono guadagnato la mia libertà facendo guadagnare gli altri».
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