«Ho preso la ruota giusta: quella di Petacchi»

«Quando è partito il suo treno, ho capito che avrei dovuto scattare insieme a lui. Volevo tornare a conquistare qualcosa di importante»

da Sanremo

«Corre i Mondiali e le Sanremo come se fossero il Gp di Chiasso, ma lui vince solo i Mondiali e le Sanremo». Parole di Daniele Nardello, corridore professionista di lungo corso, ex compagno di squadra di Oscar Freire ai tempi della corazzata Mapei e oggi compagno di allenamento sulle strade della Svizzera, dove Nardello e Freire vivono. «Lui è residente a Coldrerio, io a Mendrisio, siamo a due chilometri l’uno dall’altro. Ci alleniamo spessissimo assieme ed è uno spasso, perché Oscar è davvero quel che si dice un bravo ragazzo: semplice e disponibile. È solo un po’ svanito. Ma lo sai quante volte si dimentica la mantellina, le scarpette da ciclista, il copertoncino di riserva: ha sempre la testa fra le nuvole. Sua moglie Laura dice che ha due bambini: Marcos di otto mesi e Oscar, che è un po’ più grande».
E Oscar grande lo è per davvero. In bicicletta non fa mai cose banali. «La sua forza è la tranquillità, la serenità - spiega sempre Nardello -. Non è quello che si fa logorare dalla tensione e dallo stress prima di una grande gara. A lui scorre sempre tutto sulla pelle. Dice: se vinco è bello, ma se perdo non è la morte di nessuno. Lui è così».
Di lui gli spagnoli dicono che è «listo», scaltro, furbo, ma soprattutto «limpio», puro. Basta ascoltarlo, con quel suo faccino sorridente e sereno tra lo stralunato e il divertito. «Quando ho capito che avrei potuto vincere la Sanremo? Lo sapevo già dal mattino: stavo bene... Cosa ho fatto per vincere? Mi sono detto: devo prendere la ruota giusta. La ruota giusta era quella di Petacchi e dovevo prenderla prima dell’ultima curva all’ultimo chilometro. Quando il suo treno è partito mi sono detto: bene, scatta quando parte Alessandro. Così ho fatto».
Parla con la semplicità di chi fa cose pazzesche con la naturalezza dei grandi. Per lui è tutto scontato, normale. «Era importante tornare a vincere una gara di peso dopo tanto tempo. Negli ultimi mesi ho avuto problemi di cervicale: mi girava la testa, avevo problemi di equilibrio e per un ciclista non è un problema da poco».
Lo stuzzicano, lo incalzano di domande anche sulle coincidenze del destino: l’edizione numero 50 a Poblet, quella dei cento anni a Freire... «Bella cosa per la storia, ma a me interessa poco». Niente, risponde così, con naturalezza e indolenza.
Si va sul familiare: la prima vittoria da quando sei papà... «Ma quando corro non penso a mio figlio – dice sornione -.

Se mi piace l’idea di un futuro da ciclista per mio figlio? Non lo so. Sport troppo duro, troppo faticoso, troppo pericoloso, sarei più contento se facesse il calciatore. A me piacerebbe portarlo al campo a giocare con il pallone». Sempre che papà non se lo dimentichi a casa.

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