Gianfranco Vitolini ha trovato una soluzione radicale al problema della rata del riscaldamento, quella che tutti gli anni, ai primi freddi, tanto angosciava Enzo Biagi insieme con l’acquisto dei libri scolastici e i cappotti dei figli diventati troppo corti: ha eliminato il riscaldamento. Via la caldaia, via il boiler. I radiatori no, «mi sarebbe costato troppo toglierli», e lui non è certo il tipo da spese superflue. Oddio, un po’ di metano per casa gli gira ancora, stando alle bollette di Eon energia: dal 3 marzo al 3 luglio, 44 metri cubi, pari a 43 euro. Del resto non può pretendere che la moglie Luigia faccia bollire l’acqua per la pasta sulla stufa di ghisa anche a Ferragosto. Però l’anno scorso, in pieno inverno, per tre mesi di gas ha speso appena 35 euro.
Mai comprato legna, il Vitolini, per riscaldarsi: «Cesserebbe lo scopo». Tra cantina, garage e cortile, ha scorte per i prossimi quattro anni: bancali («non mi scriva pallet, siamo in Italia!»), cassette della frutta, ramaglie. «Ho dovuto supplicare i vicini di non portarmi più le potature: non saprei dove metterle». Tutta roba tagliata rigorosamente a mano, ogni mattina: «Le pare che uso la sega elettrica per poi pagare la bolletta all’Enel? Non capisco i miei coetanei che per mantenersi in forma vanno in palestra a fare il pilates a pagamento».
Mi guarda: «Gliel’ha mai detto nessuno che lei ha del Colaninno?». Lui invece mi ricorda Luigi Gelmini, un netturbino padre di sei figli maschi. Ne raccontai la storia una trentina d’anni fa su Bolero: staccando i punti dalle scatole dei prodotti trovati ogni mattina nell’immondizia, era riuscito a costruirsi una villetta. Lampo d’invidia negli occhi di Vitolini: «Figa! Io non avrei mai potuto eguagliarlo: ho sempre comprato all’ingrosso». La carta igienica, per dire, è ancora quella «con su il dinosauro, insomma di marca ignota», che acquistò nel 1980 al Carrefour di Paderno Dugnano, alle porte di Milano, dove abita: «C’era una bella offerta “Compri 3 paghi 2”. Ne presi una vagonata».
Tra un sacrificio e l’altro, e con una pensione di 1.200 euro mensili, non può certo dire di passarsela peggio dello spazzino: due dei quattro appartamenti del piccolo condominio sono suoi e a Fila, frazione di Trivero, nell’Alto Biellese, è pure riuscito a sistemarsi una casetta di vacanza («è lì che tengo le scorte di carta igienica»). Non basta: stamane ha litigato con l’agenzia di Intesa Sanpaolo per l’offerta pubblica di azioni Enel Green Power. «Ne ho prenotate 54.000. Troppe. Di solito in questo genere di ordini si eccede. Chi andava a immaginare che me le avrebbero assegnate tutte? Adesso mi trovo un po’ scoperto. Poco male: vendo le Italcementi che sono al 3%. Per cui ho chiesto all’impiegata: mi può avvisare dell’andamento delle quotazioni in mattinata? Risposta: “Mi è impossibile”. Sono cose da dirsi? Non sa che in passato, con una bella letterina al presidente Rainer Masera, ho fatto segare il direttore che era arrivato a Paderno da appena due settimane e mi aveva combinato un pasticcio sulle Snia». Ve l’ho detto che segare è la sua specialità.
Nativo di Polignano, frazione di San Pietro in Cerro (Piacenza), operaio diventato carabiniere («per elevarmi di rango»), congedato col grado di vicebrigadiere dopo sei anni trascorsi fra Roma, Genova, Paderno, Velletri, Firenze e Moncalieri, una figlia di 34 anni laureata in economia («e in che cosa, sennò?») alla Bocconi e ora manager finanziaria a Dallas, in Texas, dove ha sposato un funzionario del Dipartimento di Stato americano, Vitolini è senza alcun dubbio la persona più adatta per affrontare l’argomento del giorno: lo spreco. A cominciare da quello alimentare, il più scandaloso, che dal 1974 a oggi è aumentato del 50%. Ogni anno nel nostro Paese finiscono nella spazzatura 20 milioni di tonnellate di alimenti, per un valore di 37 miliardi di euro (12 in più dell’ultima manovra finanziaria), pari al 3% del Pil, con una perdita di 550 euro per famiglia. È una quantità di cibo che consentirebbe di mettere a tavola tre volte al giorno 44.472.914 persone, cioè i tre quarti della popolazione italiana. «E lo viene a dire a me, che al supermercato compro 4 baguette in offerta a 1 euro per non dargli la soddisfazione di pagare 56 centesimi per una sola?».
Vede molto spreco in giro?
«Guardi, non è che la gente abbia ridotto i consumi per via della crisi economica, sa? Semplicemente cerca di sprecare un pochino meno. Ieri ho notato, e non è la prima volta, che l’illuminazione pubblica era accesa in pieno giorno. Devo andare a protestare dal sindaco. E in banca? Mi sembra di tornare in caserma, quando identificavo i criminali. Per entrare devo appoggiare l’indice e mi prendono l’impronta digitale col metodo Bertillon. Appena dentro mi arriva in faccia un soffione boracifero. Caldo della madonna. Finestre spalancate in pieno inverno. Il vicedirettore che fa fresco all’impiegata col ventilatore portatile. Ma siamo diventati tutti matti?».
Un pochino.
«Poi chiedi a una dello sportello di passare un ordine per l’acquisto di azioni e quella mi risponde che non è capace di farlo. Ho chiesto: scusi, signorina, ma lei sa dove lavora? Risposta: “Qua, purtroppo”. Si rende conto? “Purtroppo”, ha avuto il coraggio di dire».
Lei è sempre stato abituato al risparmio.
«È un principio di natura, non una necessità. Ce l’ho nel sangue. A 9 anni la Ines dal pustëin, la figlia del postino, mi rivoltò il cappotto che era stato di mio nonno. Bellissimo. Vabbè, mi arrivava ai piedi, però m’è durato fino a quando sono partito per la naia. Le scarpe? Sempre di due numeri più grandi. “Così ti durano”, mi dicevano i miei. Bastava mettere un gomitolo di cotone in punta perché il piede non scivolasse in avanti».
E per cena?
«Si friggevano le patate e ci rompevi sopra un uovo. Mi sembra d’essere cresciuto sano lo stesso, visto che nel corso della vita ho donato 18 chili di sangue e mi hanno pure dato la medaglia d’oro».
Quanto pesa il suo sacchetto della spazzatura?
«Tra secco e umido, 10 chili a dir tanto. Al mese, eh. Insomma, tre etti al giorno».
Le capita mai di sprecare del cibo?
«Ma sta scherzando? Intanto ho quattro gatti da sfamare. E poi qui non si butta via neanche una michetta. Io il pane lo mangio anche se ha tre giorni. Oppure lo grattugio».
Perché ha rinunciato al riscaldamento?
«Era scoppiata la guerra del Golfo, gennaio 1991. Mi son detto: vediamo se riesco a far senza del petrolio di Saddam Hussein. Una mattina che mia moglie e mia figlia erano fuori casa, ho tirato giù tutto. Poi sono andato da un ferramenta e mi sono preso una parigina a legna. M’è costata 313.000 lire, 350.000 con i tubi. L’ho messa in cucina, così la usiamo anche al posto del fornello».
Ma non ha freddo nelle camere?
«Ma quale freddo! Sono 18 gradi costanti».
Un clima tropicale.
«Più preso raffreddori. Questo è il primo inverno che indosso il pigiama. Moscatelli, la famosa bottiglieria milanese di corso Garibaldi, mi metteva da parte i tappi di sughero e i fondi di caffè. Ci facevo una miscela pressata che manteneva vivo il fuoco per ore».
Invece adesso lo spegne.
«Ovvio! Alle 10 e mezzo di sera scatta il coprifuoco. Vorrà mica che mi alzi di notte a infilare la legna della parigina? Tanto alle 5 e un quarto sono già in piedi».
Ha calcolato quanto risparmia?
«Mah, metta che prima avrò speso l’800% in più rispetto a oggi. Lei pensi solo che in una stagione tiro fuori con la calamita dalla cenere 150 chili di chiodi. Un tempo li raddrizzavo. Adesso mi tocca darli al rottamaio gratis. E ringraziar Dio che se li prende! Dopo vent’anni s’è sdebitato regalandomi due vecchie ruote di bicicletta. Le userò per costruirmi un carrettino: mi serve nella raccolta delle cassette di legno che restano per strada alla chiusura del mercato settimanale».
Non brucia carta e cartoni?
«Contengono troppi veleni: inchiostri, solventi, colle. Un tempo tenevo in ammollo i quotidiani e poi li pressavo in balle che, una volta secche, facevano un bel fuoco».
Nella sua vita s’è mai concesso un lusso?
(Rimane tramortito. Riflette). «Ho preso una Fiat 500 usata da un tizio che era finito nelle mani di un carrozziere strozzino. Poi l’ho data da vendere a mio cognato. Ci ho smenato qualcosa. Però mi sono tolto la soddisfazione di non lasciare quella persona nelle grinfie dell’avvoltoio. È stato un lusso».
Le fa molto onore.
«Un’altra volta, trent’anni fa, ho acquistato quattro vestiti doppiopetto, tutti uguali. Lo stock comprendeva un cappotto di cammello e un giubbotto di pelle. Ho speso in tutto 700.000 lire. Ma sono capi che indosso ancora».
Scarpe?
«Sono dieci anni che non me ne compro un paio».
Con che cosa si rade?
«Schiuma Proraso nella ciotola, pennello e rasoio Bic a una lama. In cantina ne avrò 200, di rasoi, presi in offerta. Ne adopero due contemporaneamente: con quello vecchio faccio la prima passata, con quello nuovo il contropelo. È l’unico strumento usa e getta che trova in questa casa».
Sulle tombe dei suoi cari che cos’ha portato per la ricorrenza dei defunti? Crisantemi?
«Per chi mi ha preso? Ma se da giovane portavo i fiori di campo persino alla mia futura moglie! Poi però le regalai un anello di fidanzamento che mi costò 75.000 lire. Stiamo parlando di 40 anni fa. Oggi sarebbero 600 euro. I suoi genitori lo fecero stimare da un gioielliere per capire se ero una persona seria».
Guarda la televisione?
«Poca. Sono per l’ecologia del cervello».
Il canone Rai è un lusso.
«Altroché! E pensi che volevano farmelo pagare anche per l’appartamento di mia figlia, che vive negli Usa. Però per vedere i listini di Borsa, Rai Storia e Voyager mi tocca».
Che effetto ha la pubblicità su di lei?
«Nessuno. Compro quello che mi serve, non quello che mi consigliano».
Quanti soldi le occorrono al giorno per vivere?
«Cinque euro. E ne avanzo 3. Non sono come mio nipote di 22 anni, che ha le placche nel culo. Studia da ingegnere. Da bambino si faceva comprare gli ovetti Kinder solo per le sorpresine. Una volta i suoi genitori mi hanno portato qua un paio di chili di cioccolato che il figlio aveva rifiutato».
Come mai sprechiamo tanto? Che cosa ci è successo?
«Vogliamo mostrarci una spanna più alti. Ha presente quando negli anni Settanta la gente riempiva di carne i carrelli del supermercato per far vedere che poteva finalmente permettersi il lesso? Ecco, ora che siamo sazi di carne li riempiamo di telefonini».
Se lei avesse un figlio adolescente e non gli comprasse il cellulare ne farebbe un asociale.
«Guardi che mia figlia aveva la sua auto quando ancora andava al liceo. Presa con i suoi risparmi».
Mi prende in giro?
«No, ora le spiego. Fin da bambina a Elisabetta ho sempre dato la sua paghetta: 1.000 lire. Solo che me la restituiva immediatamente. In cambio io le versavo un interesse del 20%. Risultato: con 200 lire di mancia tirava avanti una settimana e io le mettevo in banca 1.000 lire. Ti sei fatta un capitale, le dicevo. Appena più grandicella, ho cominciato a prenderle i Cct, con le loro belle cedoline, non come quelli di adesso che sono dematerializzati. Alla scadenza la portavo in banca a incassare gli interessi. È così che le ho fatto capire il valore del denaro».
Ma se tutti seguissero il suo esempio, e smettessero di comprare, finirebbero licenziati o in cassa integrazione anche i lavoratori che pagano la sua pensione, non crede?
«Noi viviamo in un’economia innaturale. Ci dicono di non tenere gli elettrodomestici in stand by per non sprecare energia elettrica, ma io so per certo che il modo migliore per distruggere un televisore è accenderlo e spegnerlo tre volte al giorno. Quindi, in realtà, puntano a farcelo cambiare ogni 5 anni anziché ogni 20. E allora a che gioco stiamo giocando?».
Mai chiesto un prestito?
«Sì, a miei genitori: 5 milioni, senza interessi, per comprarmi la casa nel 1973. Per arredarla ho firmato pacchi di cambiali da 142.000 lire, che ritiravo a 120.000 lire prima della scadenza. Accettavano tutti: uno sconto di 22.000 lire in cambio dei soldi subito, sicuri».
Ha l’auto?
«Una Panda».
Quindi contribuisce all’esaurimento dei giacimenti petroliferi.
«Una macchinetta ci vuole. Gli arabi hanno cominciato durante la guerra del Kippur a dire che ci sarebbero state riserve solo per 30 anni. Ne sono passati da allora 37 e adesso affermano che ci sono scorte per altri 50. Boh. Comunque l’intelligenza dell’uomo ha sempre trovato una soluzione per tutto».
Sono uno spreco anche quasi 1.000 parlamentari, non crede?
«Non mi faccia parlare. Da carabiniere sono stato di guardia al Quirinale, alla Camera e al Senato. Nemmeno i bambini dell’asilo si comportano come i politici. Una volta mi hanno spedito a una manifestazione al castello di Stupinigi. C’erano Giancarlo Pajetta, Guido Bodrato e Renato Altissimo, Pci, Dc e Pli. Li ho sentiti con le mie orecchie accordarsi fra loro: “L’importante è far vedere che ci scontriamo”».
Vogliamo stilare un decalogo del risparmio per le famiglie italiane attanagliate dalla crisi?
«Primo: darsi da fare. Secondo: spendere con oculatezza. Terzo: insegnare ai figli il valore del denaro. Quarto: sobrietà nei comportamenti. Quinto: mai dire ai nipoti che ci pensa il nonno; s’arrangino da soli.
Ne mancano quattro.
«Basta così. Settimo e ultimo: risparmiare anche sulle parole».
(520. Continua)
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