"Ho vinto la serata ma non amo le gare degli ascolti"

Ospitando Bocelli in "Speciale Che tempo che fa" per un omaggio al bel canto, Raitre è risultata la rete più vista

L’altra sera «Che tempo che fa speciale» dedicato ad Andrea Bocelli in onda su Raitre ha avuto più telespettatori di tutte le altre reti: oltre il 18 per cento di share con più di 4 milioni e 600mila persone sintonizzate. Battuti il film di Raiuno, Annozero di Michele Santoro, la fiction Il capo dei capi di Canale 5, che però era una replica.

Se l’aspettava, Fazio?

«Naturalmente no. È andata meglio delle più ottimistiche previsioni, ma non esagererei con le celebrazioni. Sono felice che esista un pubblico per il quale Bocelli rappresenta ciò che rappresenta per noi di Che tempo che fa».

Oltre quattro milioni e mezzo di spettatori su Raitre per una serata di musica melodica e lirica...

«È stato un omaggio al bel canto, a quella che una volta era considerata la musica pop per eccellenza. In questi casi si parla di sperimentazione e qualche volta non va così bene. Ma credo convenga provarci comunque».

Bocelli ha detto che è stata una prova di coraggio.

«Di solito si dice che la musica in tv non funziona. Un po’ di coraggio ci vuole».

Per trovare un altro primato di Raitre in prima serata bisogna risalire ad un «Ballarò» del 5 aprile 2005.

«Non lo sapevo, non sono appassionato di queste classifiche».
In epoca di vintage tv, uno speciale sul bel canto è tv demodé?
«È stato uno show che ha reso omaggio a una gloria nazionale. Uno studio televisivo è diventato un teatro. Spettacoli così si fanno spesso in Francia. E, per rimanere all’estero, abbiamo riproposto in Italia la stessa ammirazione di cui Bocelli gode in America».

Gli amanti del bel canto si immaginano habitué di Raiuno...

«Che tempo che fa ospita conversazioni di venti minuti con persone come Grossman, Calasso, Paul Auster. Abbiamo un pubblico che ci segue da tempo. Stavolta, vista la collocazione, si è aggiunto qualcun altro».

La Littizzetto al pianoforte sarà stata una scoperta per molti...

«Immagino che non tutti sapessero che ha fatto dieci anni di conservatorio ed è diplomata in pianoforte. Affiancarla ad un altro numero uno come Bocelli è stato un bel colpo».

Comunque, niente politica...
«Ci mancherebbe altro».

A «Che tempo che fa» vengono molti scrittori perché fa vendere più libri?

«Ci piace parlare di libri e avere degli incontri con alcuni scrittori, molti dei quali sono intellettuali tra i più prestigiosi in circolazione. Scoprire che poi i libri vengono acquistati è motivo di orgoglio. Però, non parliamo soprattutto di libri, ma delle persone che li scrivono».
Da voi vengono personalità come Bill Gates, Grossman, Tronchetti

Provera: perché li tratta bene?

«Il contrario di trattar bene è trattar male. Se qualcuno tratta male un’altra persona, lo si definisce maleducato. Credo che alcuni ospiti vengano nel nostro programma perché c’è una buona disponibilità ad ascoltare. Nei primi due anni, quando l’audience non era così alta, abbiamo puntato su ospiti e argomenti molto mirati, per costruire un marchio».

A proposito di marchi, come ha accolto il paragone con Letterman?

«Alcuni anni fa dissi che Letterman era il riferimento di tutti coloro che cominciavano a fare talk show con interviste one to one. Credo che Letterman non ne potrà più di esser portato come modello. Secondo me lui odia i talk show e la gente che prova a imitarlo».

Perché i politici di destra non vengono a «Che tempo che fa»?
«In questi cinque anni ne sono venuti molti. Da ottobre, sono stati ospiti solo due politici, entrambi di centrosinistra, ma entro la fine dell’anno ne verranno altri di centrodestra».

Berlusconi l’ha mai invitato?
«Tutti gli anni. È un’abitudine. Ha sempre declinato e nessuno si offende. È il presidente del consiglio e avrà altro da fare».
C’è qualcosa di cui si pente, qualche ospite che non richiamerebbe?
«Sarebbe un controsenso per un talk show costruito sull’incontro con persone che devono essere diverse da me. Non ho motivi di pentimento, ma di dispiacere se l’esito non è buono come speravo. E qualche volta succede, in un talk show che va in diretta».

Non è pentito di aver invitato Travaglio quando disse che peggio di Schifani ci sono solo i lombrichi?

«Fu una battuta di cattivo gusto che, come dissi in diretta, non condividevo. Però una battuta sbagliata non può essere usata come pretesto per limitare la libertà di opinione».

Era ben più che un’opinione. Dopo quell’episodio non pensò che conviene selezionare meglio gli inviti?

«Assolutamente no».

Nemmeno se si tratta di un ospite recidivo?

«Non è il caso di Travaglio, che è in onda tutte le settimane su Raidue. Temo si stia imboccando un crinale pericoloso, in cui ogni dichiarazione serve ad alzare i toni dello scontro, a radicalizzare le fazioni. Forse non eravamo pronti per il maggioritario. Con il mio lavoro faccio di tutto per non alimentare questa tendenza».



Altri speciali, dopo quello dell’11 gennaio su De Andrè?

«Mi accontento di pensare a questo, uno speciale che aspetto di vedere più che di fare».

A fine gennaio Albanese lascerà. Arriverà qualcun altro?

«Ci penseremo dopo le vacanze. Forse Paolo Rossi».

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