Nonostante abbia vissuto per 29 dei suoi
73 anni accanto a Silvio Berlusconi (dal 1947 al 1955 come suo
compagno di classe nell'istituto salesiano Sant'Ambrogio di via
Copernico a Milano, dal 1988 al 1995 come
capo della sua segreteria in Fininvest tra via Rovani e Arcore, dal
1996 a oggi per due mandati come suo deputato e per altri due come suo
senatore in Parlamento), il milanese Guido Possa non ha preso proprio
nulla dall'amico.Mai un'intervista. Mai una foto sui giornali. Mai una
polemica. Mai un avviso di garanzia. Mai un processo. Mai un souvenir
sui denti. Mai un'iperbole. Mai un lusso. Mai un flirt.
La vigilia
di Natale è stato visto scendere alla stazione della metropolitana di
Cimiano. Il 27 dicembre stessa scena a Sant'Ambrogio, 12 fermate più
avanti sempre sulla linea verde, dove ad attenderlo, per un agguato
concordato a fatica dopo mesi d'assedio, ha trovato il vostro
cronista. Quando non si serve dei mezzi privati, cioè delle gambe ( da
una trentina d'anni fa trekking in Alta Valtellina, dopo aver
acquistato un bilocale a Bormio), o di quelli pubblici, il senatore
Possa usa i mezzi d'emergenza. Il 24 gennaio 2008 si fece in ambulanza
Segrate-Roma, 1.200 chilometri, da casa sua fino al portone principale
di Palazzo Madama e ritorno, pur di non mancare a un voto di fiducia:
pochi giorni prima s'era rotto il tendine del quadricipite femorale,
ma voleva a tutti i costi essere fra i 161 che mandarono a casa il
governo di Romano Prodi.
Determinazione ed energia. Ecco le due
sole propensioni che hanno unito Silvio e Guidodalla prima media
alla fine del liceo classico e che ancor oggi li accomuna. Energia
atomica, nella fattispecie: Possa fu uno dei primi nel nostro Paese a
laurearsi in ingegneria nucleare. Era il 1961. Dal 1971 è stato l'unico
professore universitario d'Italia ad avere la libera docenza in
controllo dei reattori e ha insegnato al Politecnico di Milano. Fra i
suoi allievi c'era Alessandro Ortis, oggi presidente dell'Autorità per
l'energia elettrica e il gas. Benché convertito al laticlavio, il
professore resta uno dei pochi connazionali
che, messi di fronte alla console di comando della centrale di Three
Mile Island o di Chernobyl, avrebbero saputo dove mettere le mani, e più
ancora dove non metterle.
La spinta a occuparsi della complicata materia gli venne dal cuore, dopo aver ascoltato il programma Atoms for peace
del presidente americano Dwight Eisenhower, che nel 1955 portò alla
prima Conferenza di Ginevra sullo sviluppo delle tecnologie per lo
sfruttamento della fusione nucleare a scopi pacifici: «Questo mondo in
armi non sta solo spendendo denaro: sta spendendo il sudore dei suoi
operai, il genio dei suoi scienziati, le speranze dei suoi giovani».
Ma la passione per l'energia ha anche un imprinting biologico e
olfattivo: «Durante la guerra, sfollato a Taio, in Val di Non, stavo
per morire di peritonite: mi salvai solo perché il medico aveva un'auto a
carbonella e poté portarmi all'ospedale di Cles, dove fui operato.
Poi vidi i tedeschi in ritirata che riuscivano a tirar fuori il carburante dalle patate. E infine, giugno 1945, l'esperienza più acuta: l'odore della benzina portata dai soldati americani».
Il senatore si riconosce come unico merito quello d'aver speso le sue
migliori energie in famiglia. Da Franca Ferrario, saggista e docente
esperta in servizio sociale, ha avuto quattro figli: Monica, bocconiana,
direttore risorse umane e organizzazione di Rcs Mediagroup, la casa
editrice del Corriere della Sera ;
Paolo e Carlo, ingegneri come il padre, il primo alla Hilti, il secondo
all'Autogrill ma in procinto di passare alla compagnia aerea
Emirates; infine Francesca, psicologa all'ospedale San Raffaele.
Possa è presidente della commissione Istruzione pubblica e beni
culturali del Senato. In un Paese normale avrebbero affidato a lui,
che ne capisce davvero, la guida dell'Agenzia per la sicurezza
nucleare. Purtroppo ha un grosso difetto: non solo non l'ha mai
chiesta all'amico Berlusconi, ma nella sua modestia si ritiene persino
inadatto al ruolo. E così il Consiglio dei ministri un paio di mesi fa
ha designato Umberto Veronesi, senatore del Pd.
Che c'entra l'oncologo Veronesi con l'atomo, radioterapia a parte?
«È sempre stato un convinto nuclearista».
Anch'io sono sempre stato un convinto nuclearista.
«Ma
forse lei non ha mai dichiarato, come invece ha fatto Veronesi, che
dormirebbe tranquillo con un secchio di scorie nucleari in camera sua.
Inoltre lei non è mai stato ministro della Sanità».
No, in effetti. Ma che c'entra?
«L'Agenzia per la sicurezza nucleare ha lo scopo di tutelare la salute pubblica».
Con tutto il rispetto, come si fa a scegliere un presidente che avrà 95 anni quando la prima centrale nucleare vedrà la luce?
«Passerà la mano».
Lei avrebbe avuto dalla sua anche l'età: 12 anni di meno.
«Non ho mai dato la mia disponibilità. Non sono mai stato in corsa».
Quale ruolo ha avuto Stefania Prestigiacomo, ministro dell'Ambiente, in questa scelta?
«Non lo so. A me dispiacesolo che la Prestigiacomo, che doveva
indicare due candidati, abbia proposto come commissario dell'Agenzia
per la sicurezza nucleare il suo capo di gabinetto, Michele
Corradino. Il quale è stato bocciato con 49 no a fronte di 28 sì e poi
ribocciato, con numeri ancora più umilianti, purenella seconda
votazione pretesa dal ministro ».
I suoi rapporti con la Prestigiacomo come sono?
«Niente di personale. Ma la mia eterodossia in tema di cambiamenti
climatici e riscaldamento globale contrasta con quello che pensa il
ministro dell'Ambiente. Sono rimasto sconcertato dall'esultanza
della Prestigiacomo quando al G8 dell'Aquila fu approvata la
risoluzione che impone ai Paesi firmatari, entro il 2050, di ridurre
come minimo dell'80% le emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera.
Se si considera che il Protocollo di Kyoto prevedeva una diminuzione
dell' 8%per l'Unione europea e del 6,5% per l'Italia,qualcuno mi
deve spiegare come sarà possibile, nel giro di appena 40 anni e in
presenza di una crisi economica feroce, riconvertirel'industria
mondiale in modo da conseguire un obiettivo dieci, dodici volte più
ambizioso. Una pia illusione ».
Obiettivo vincolante, ha stabilito la Ue.
«E allora mi lasci dire che l'Europa costruita sulla tecnocrazia e sul
burocratismo a me sembra una delle malattie peggiori dei tempi
presenti. Anche Berlusconi se n'è accorto. Sente la cappa di
quest'Unione a supremazia franco-tedesca e cerca di sparigliare come
può, giocando di sponda con Vladimir Putin e Muammar Gheddafi. Ma la
verità è che c'è una carenza d'iniziativa italiana nella politica
europea. La Ue sta diventando una camicia di forza, una struttura
postdemocratica, se non antidemocratica. Quando si fissano degli
obiettivi vincolanti e si decide che un moloch supremo controlli
semplicemente che vengano raggiunti, ci si mette su una brutta
strada. Siamo arrivati all'assurdo per cui la Ue ha deciso
l'abolizione sic et simpliciter delle lampadine a incandescenza. Via
tutte,bandite anche le lucine dell'albero di Natale, si rende
conto?».
La sua posizione su clima ed emissioni inquinanti qual è?
«Sono un convinto assertore del fatto che l'anidride carbonica potrebbe
non essere responsabile del riscaldamento globale. Ammesso e non
concesso che quest'ultimo sia un fenomeno consolidato. Anzi, le più
recenti esperienze relative alle temperature e alle precipitazioni
atmosferiche c'indurrebbero a supporre il
contrario, come peraltro teorizzano molti scienziati. Io penso che
presto salteranno fuori tutte le vergogne dell'Ipcc
(Intergovernmental panel on climate change, il foro intergovernativo
sul mutamento climatico istituito dalle Nazioni Unite, ndr) , che attribuisce il riscaldamento globale ai prodotti della combustione del petrolio e del carbone».
Il
professor Nicola Scafetta, uno scienziato di Gaeta che insegna alla
Duke University negli Stati Uniti, mi ha illustrato una sua
proiezione climatica secondo cui le temperature diminuiranno fino al
2030, per poi aumentare di nuovo fino al 2060, in base a due cicli
naturali ricorrenti che dipendono dal Sole e che non sono minimamente
correlati con i gas serra.
«Ho
sostenuto in Senato due mozioni, le uniche approvate da uno dei 27
Parlamenti della Ue, che esprimono preoccupanti dubbi sulla linea di
Bruxelles, da anni totalmente appiattita in modo scandaloso sulle
conclusioni dell'Ipcc ».
Com'è giunto a nutrire questi preoccupanti dubbi?
«Vede,
un secolo fa, quando la scienza era elitaria e non imbragata dalla
politica, bastava ragionare. Albert Einstein formulò la teoria della
relatività a tavolino. Gli servirono solo una penna e un pezzo di carta
per raggiungere l'equazione fisica che stabilisce una relazione tra
l'energia e la massa.Per anni mi sono occupato di ricerca industriale
sui reattori nucleari,un'attività più vicina allatecnologia che ai
massimi sistemi dell'universo, perché
produce macchine. Ho avuto il privilegio di fare migliaia di misure,
molto difficili, di temperatura e di pressione. È complesso garantire
che siano eseguite con precisione. Tutto questo mi ha portato a
dubitare di qualsiasi asserzione, a distinguere fra verità assestate e
congetture. Lo chiami pure dubbio sistematico sulla misura. Davanti a
qualsiasi affermazione, la prima cosa che mi viene spontaneo chiedere è:
come fai a dirlo? che prove hai? come le hai raccolte?».
Ottimo metodo, applicabile anche al giornalismo.
«Molte di quelle che oggidì vengono spacciate per verità assestate
sono in realtà congetture. Che la Terra giri intorno al Sole, è una
verità assestata. Ma che l'universo si sia prodotto con il Big bang,
la grande esplosione, non è che una notevole congettura, a sostegno
della quale vi sono soltanto due o tre dati sperimentali. Se lei non
crede alla legge di Ohm, io prendo la resistenza R, ci faccio passare la
corrente I, e le dimostro che ai due capi si misura una differenza di
tensione V. Ma che cosa accadde con precisione 12,7 miliardi di anni fa?
Non è un'esperienza ripetibile».
Lei ha dichiarato che il ritorno all'energia atomica dev'essere
un tema bipartisan, perché richiederà investimenti massicci per
almeno 20 anni. È sicuro che, se cambia il governo, il nucleare non
venga di nuovo affossato?
«Quando
l'Enel o la A2A, o la tedesca Eon, o le francesi Edf e Gdf-Suez avranno
deciso l'investimento e trovato i siti dove costruire le centrali
nucleari, il dado sarà tratto e non si tornerà indietro,
perchéqueste o altre cordate avranno maturato diritti che non potranno più essere lesi».
Ha anche sostenuto che serviranno dalle 6 alle 10 centrali. Da mettere dove? Nessuna regione le vuole.
«È sufficiente individuare tre siti, ognuno dei quali potrebbe
ospitare due o tre centrali. L'importante è che entro il 2030 si
arrivi a coprire col nucleare il 25% del fabbisogno nazionale di energia
elettrica».
Avrà apprezzato
l'appello rivolto a Pier Luigi Bersani da Umberto Veronesi e altri
71 scienziati, intellettuali e parlamentari di sinistra, fra i quali
Margherita Hack, Edoardo Boncinelli, Franco Debenedetti, Fabrizio
Rondolino, Pietro Ichino e Chicco Testa, affinché il segretario del Pd
non chiuda la porta al rilancio del nucleare in Italia.
«Quando
Bersani era ministro dell'Industria, nel governo doveva fare i conti
con personaggi come il verde Alfonso Pecoraro Scanio e quindi non
poteva esprimersi più di tanto. Il segretario del Pd ha un'abilità
tutta particolare nel nascondere quello che pensa realmente.
Dipenderà dalla scuola comunista dove s'è formato.Ma ho capito che
sottosotto non è per nulla contrario al nucleare».
Chi sono i colleghi della maggioranza che stima di più?
«Vado d'accordo con tutti».
Non faccia il doroteo.
«Ma
è vero. Lei vorrebbe qualche nome? Allora scriva che stimo molto
Renato Schifani, Gaetano Quagliariello, Maurizio Gasparri, Antonio
D'Alì, Franco Asciutti e Paolo Scarpa Bonazza Buora, presidente della
commissione Agricoltura del Senato, col quale ho condotto un'indagine
sull'impiego degli Ogm durata due anni».
Rimproverò al ministro Giulio Tremonti d'avere «un linguaggio brachilogico», dal greco brakùs, breve.
«Sì, brusco, molto sintetico. Ma abbiamo un buon rapporto, m'invita sempre ai convegni dell'Aspen institute».
Se ne parla come possibile sostituto del Cavaliere a Palazzo Chigi, così almeno vorrebbe la Lega.
«Se ne parla e se ne straparla».
E nell'opposizione con chi va d'accordo?
«Con
Luigi Zanda, Vincenzo Vita e Mariapia Garavaglia, per esempio, tutti e
tre senatori del Pd. Mi dispiace molto, tuttavia, che la vis polemica e
l'obbedienza di partito obblighino persone stimabili ad assumere
posizioni che non stimo per nulla. Purtroppo nella concezione comunista
del potere il fine giustifica i mezzi, inclusa la negazione della
verità, che per me invece è intollerabile».
Come mai il suo amico Berlusconi non l'ha mai nominata ministro?
«Non ho né la preparazione né il physique du rôle. Sono troppo scrupoloso. Mi sarei preso l'esaurimento nervoso».
E perché,dopo essere stato sottosegretario all'Istruzione, non le ha
più dato incarichi di governo? Si parlava di una sua delega al
nucleare.
«Nessuno me ne ha mai accennato».
Ecco, così almeno per una volta non si potrà dire che il Cavaliere promuove i suoi amici.
«E i suoi ex dipendenti».
Quando cominciò a lavorare per lui?
«A
dire il vero il primo a essere assunto fu mio fratello Giulio, uno dei
quattro architetti che hanno realizzato Milano 2. Siccome non aveva
ancora superato l'esame di Stato, fui io a firmare il progetto della
prima casa costruita da Silvio in via Alciati. Era il 1961. Subito dopo
trovai posto al Cise, un centro di ricerche industriali di proprietà
dell'Enel che si dedicava allo studio delle centrali nucleari e
termoelettriche. Percorsi tutti i gradini interni, da semplice
ricercatore a direttore del settore ricerca e sviluppo. Ma nel 1987 vi
fu il referendum sul nucleare e capii che la strada s'interrompeva.Così
l'anno successivo mi rivolsi a Berlusconi, che mi offrì la
responsabilità della sua segreteria».
Sarebbe potuto diventare come Fedele Confalonieri, per l'amico Silvio.
«Ma nemmeno per sogno. Confalonieri spicca per doti notevolissime.
Già a scuola dai salesiani si capiva che aveva una marcia in più. Alla
messa delle 8 suonava l'armonium con una grazia tutta speciale».
Com'era l'alunno Berlusconi?
«Scriveva bene. Eccelleva soprattutto nelle
materie umanistiche. Era sempre pronto ad aiutare i
compagni meno dotati. Dimostrava una ricchezza sentimentale che io non
ho mai avuto, una capacità di risposta appassionata a qualunque
richiesta. Ricordo che a maggio i preti dell'istituto Sant'Ambrogio ci
obbligavano a propagandare il mensile Gioventù Missionaria . Silvio era capace da solo di far sottoscrivere centinaia di abbonamenti, noi al massimo una decina».
Su alcuni giornali è apparso che vi passava i compiti in classe in cambio di soldi.
«Un'assurdità, prim'ancora che una falsità. I docenti salesiani erano
occhiutissimi, copiare sarebbe stato impossibile. Alle medie avevamo
un professore di lettere d'origine veneta, Tarcisio Strapazzon,
segaligno e burbero, che lo avrebbe beccato subito».
Chi ricorda, oltre a Berlusconi, di quella classe che nel 1955 affrontò la maturità classica?
«C'era Gianni Marzocchi,che l'anno seguente avrebbe partecipato al
Festival di Sanremo con la canzone Musetto scritta da Domenico Modugno. In seguito si dedicò al doppiaggio: è sua la voce di Robert Duvall in Apocalypse Now
di Francis Ford Coppola. C'era Lino Di Pilato, che andò a fare il
chirurgo ortopedico all'ospedale Bassini. C'era Lucio Dal Santo, che
divenne docente di lingua e letteratura russa alla Cattolica,
traduttore di classici, da Dostoevskij a Tolstoj, ma soprattutto
studioso e divulgatore dei samizdat, le opere dei dissidenti
sovietici.C'era Ariberto Spinelli, che oggi è psicologo e scrittore.
Ogni due anni Silvio organizza una rimpatriata della classe. Ha sempre
invitato anche Angelo Gallicchi, che da sindacalista socialista
dell'Azienda trasporti milanesi aveva fatto carriera nella Cgil,
tanto che fu chiamato a Mosca per il 50˚ di fondazione del Pcus.
Èmorto pochi giorni fa, la vigilia di Natale. Dei 24, ci hanno già
lasciato in sei, e fra questi Marzocchi e Di Pilato, scomparsi
prematuramente».
In quella classe
c'erano anche altri due futuri senatori di Forza Italia, Romano
Comincioli e Luigi Scotti. Su 24, ben quattro in politica e nello
stesso partito. Un sesto tondo. Ammetterà che è curioso.
«Comincioli s'era molto legato a Silvio come venditore di case
dell'Edilnord,mentre Scotti era diventato un dirigente della Sip.
Siamo tre esempi di come si può essere cooptati dal leader per fiducia e
per conoscenza diretta. Che c'è di male in questo? Forza Italia è nata
dal nulla, nel 1994 non disponeva di una classe dirigente. Logico che
Berlusconi si sia guardato attorno, abbia pescato nella cerchia dei
professionisti che stimava. C'era una locomotiva che aveva bisogno dei
vagoni. Io sono sempre stato un vagone. In altri partiti non è
diverso».
Ai vostri periodici meeting non ha mai partecipato Adriano Manesco.
«Non s'è mai capito il perché.Era il più bravo della classe.
Studiosissimo. Finito il secondo anno di liceo, si preparò per tutta
l'estate e diede gli esami a ottobre, saltando così il terzo anno. Da
allora non l'ho più rivisto.So che si mantenne all'università lavorando
come correttore di bozze al Giorno . Mi pare che poi abbia vissuto a
Taiwan. Una persona singolare. Andavo spesso a fare i compiti a casa
sua, in via Sabaudia, vicino a piazzale Loreto. Così come a casa di Silvio, in via Volturno».
Rendimento scolastico a parte, Berlusconi che tipo era?
«Sempre un passo avanti agli altri, sempre elegante. Uno dei primi
montgomery lo vedemmo indosso a lui. Intraprendente come nessun altro.
Avevo 15 anni quando mi propose di vendere le spazzole elettriche
Elchim. Costavano 7.000 lire. Le portava a scuola insieme col
dentifricio Binaca in stock. Dava la merce a me e a pochi altri in conto
vendita. Mi spiegò un metodo infallibile per convincere le
casalinghe: "Tu apri la scatola di raccolta della polvere e mostri che è
perfettamente vuota. La richiudi. Passi la spazzola elettrica su un
tappeto che è stato appena pulito. Dopo un
minuto riapri la scatola e vedrai che è piena di schifezze. A quel punto
la signora ti compra l'aspirapolvere di sicuro". Aveva ragione.
Ovviamente c'era un margine di profitto per noi venditori, che ci
versava puntualmente».
A
me la mamma Rosa, quando la intervistai in occasione dei suoi 95
anni, raccontò che il suo Silvio vendeva frigoriferi Ignis e che una
vigilia di Natale ne portò uno sulle spalle a una signora, salvo
scoprire, salito fino al quinto piano, che aveva sbagliato scala.
«Non posso crederci. Con quello che pesavano allora i frigoriferi,
saranno stati almeno in due o tre a salire le scale. Ecco, lo vede
il dubbio sistematico? Affiora sempre».
Berlusconi era interessato già allora alle belle ragazze?
«Ovvio, nonostante l'istituto salesiano fosse frequentato solo da
maschi. I suoi erano i racconti del cacciatore. Rammento che ebbe una
relazione molto intensa con una ragazza. Si
favoleggiava che fosse una commessa della Standa. Lo vidi piangere per
questa storia. Insomma, non era il tombeur de femmes che dice: "Più una,
più una, più una...". Si trattava di una passione vera».
Ha conosciuto le mogli del Cavaliere?
«Sì,
due donne estremamente diverse per temperamento. Carla Dall'Oglio, la
madre di Marina e Piersilvio, era una brava ragazza della borghesia
milanese che Silvio abbordò mentre era in attesa dell'autobus,
offrendosi d'accompagnarla fino a casa».
La mamma di Berlusconi aveva conosciuto nello stesso modo il marito
Luigi. «Io abitavo in via Volta e prendevo il tram 4», mi raccontò.
«Vedevo sempre questo giovane distinto che parlava di banca e di azioni
con un'altra persona. Scendeva alla mia stessa fermata, in Cordusio.
Un giorno al ritorno decisi di perdere il tram. " Rosina,non sali?",mi
chiese la mia amica. No, risposi, aspetto il prossimo per vedere se
c'è su il biondino. Subito dopo s'avvicinò lui: "Permette,
signorina, che mi presenti? Sarebbe un onore per me accompagnarla"».
«Invece Carla tergiversò parecchio prima d'accettare. Il 6 marzo 1965
fui invitato al loro matrimonio. Il pranzo di nozze si svolse al
Gallia».
L'hotel che un tempo ospitava il calciomercato.
«E infatti Silvio, che già allora era presidente di una società
sportiva, la Torrescalla- Edilnord, ci fece trovare tutta la squadra
schierata all'ingresso dell'hotel in pantaloncini corti e scarpe
bullonate».
È vero che ora Berlusconi si sente signorino, libero di cercarsi un'altra compagna?
«Credo che l'età conti anche per lui».
Senatore Possa, da quanti anni è sposato?
«L'anno prossimo saranno 50».
A Roma le capita di frequentare ragazze allegre a cena?
«No. Vivo come un monaco in un appartamento in affitto e la sera mi
preparo per il lavoro parlamentare del giorno seguente».
L'amico Silvio non la invita a Palazzo Grazioli?
«Solo per parlare di politica. Mai alle feste».
Fra le debolezze che imputano a Berlusconi, c'è quella di
circondarsi solo di consiglieri che gli danno sempre ragione. Lei
non passa per uno yes man, eppure la vostra amicizia resiste da più di
60 anni. Come si spiega?
«Non
è vero che apprezzi solo il signorsì. È aperto alla critica, purché gli
venga rappresentata con toni civili. Semmai diffida
dell'assemblearismo. Ha paura che gli altri combinino pasticci,
spezzando le linee direttrici che ha in mente. È un retaggio del suo
passato di imprenditore: nelle aziende, si sa, le decisioni deve
prenderle uno solo».
Lei non appare in Tv, non parla con i giornalisti.
La riservatezza assoluta fa parte del suo corredo genetico o se l'è imposta?
«Per andare in televisione sono richieste prontezza di battuta e capacità d'improvvisazione. Sono doti che non ho mai avuto».
È credente?
«Non
dimentico l'ambiente in cui sono cresciuto. Ho un enorme rispetto per
la religione cattolica, che tuttora impronta parecchie delle cose che
dico e che faccio. Non sono più molto praticante. Ma i valori restano
quelli che ho imparato dai salesiani. Il mio funerale desidero che sia
celebrato in chiesa».
Molti accusano Berlusconi d'aver traviato un'intera generazione con talune trasmissioni in onda sulle reti Mediaset, dal Drive in al Grande fratello , che certo non avrebbero incontrato il favore di don Giovanni Bosco.
«Un'accusa totalmente astrusa dal contesto sociologico in cui
viviamo. Non tiene conto di dove sta andando il mondo per i fatti
suoi, senza il concorso della televisione. Quale tipo di relazioni si
siano instaurate fra uomo e donna è visibile da almeno trent'anni
negli Stati Uniti e in Europa, dove non arrivano Canale 5, Rete 4 e
Italia 1. È stata la liberazione sessuale della donna, il suo diverso
ruolo nella società e nel mondo del lavoro, a modificare il costume,
non Berlusconi».
Per quale motivo secondo lei il Cavaliere è amato da metà degli italiani e odiato dall'altra metà?
«Machiavelli divideva i politici in due tipologie: volpi e leoni.
Berlusconi è un leone. Si batte per cambiare un'Italia che è stata
per almeno mezzo secolo un Paese semisocialista, e parlo di
socialismo reale. Molte regioni si sono adeguate a questo modus
vivendi, coltivano l'assistenzialismo, preferiscono
campare sulle spalle degli altri. Un radicale come lui, un innovatore
iconoclasta che ha ideali diametralmente opposti, non poteva che
terremotare la scena. In più non gli perdonano la sua ricchezza».
Come politico lei si sente circondato dalla simpatia della gente oppure dal disprezzo?
«Né dall'una né dall'altro. Avverto intorno a me aggressività. La
classe giornalistica contribuisce fattivamente, rappresentandoci
peggio di ciò che siamo. Perché, inutile nascondercelo, non v'è dubbio
che una certa deriva della politica c'è stata.Nella Prima Repubblica i parlamentari si sono trasformati in una nomenklatura».
Nel 1994 era il capo della sua segreteria: perché non impedì a Berlusconi di scendere in politica?
«La
famosa discesa in campo fu un processo molto graduale, cominciato nel
giugno del 1993, quando la Guardia di finanza piombò in via Rovani e si
capì che era partito l'assalto per via giudiziaria alla Fininvest. Il
pubblico ministero Margherita Taddei fu particolarmente dura. Le
Fiamme gialle sequestrarono tutto, anche il mio computer, nonostante
l'unico indagato fosse Salvatore Sciascia, il direttore dei servizi
fiscali del gruppo. Nel pc avevo annotato i resoconti delle riunioni
sull'evolversi della situazione politica che da sei mesi, ogni
sabato, Berlusconi teneva con i suoi più stretti collaboratori e con
alcuni giornalisti amici, come Maurizio Costanzo. I riassunti finirono
sulle pagine dell' Espresso . Il Cavaliere comprese perfettamente
dove si andava a parare: la "gioiosa macchina da guerra" avrebbe
aperto un varco al Pds fra le macerie di Tangentopoli e l'Italia
sarebbe stata consegnata ad Achille Occhetto. Una prospettiva che lo
spaventava molto».
Certo i postcomunisti non l'avevano in simpatia.
«Mi colpì lo sconcerto di Silvio di fronte alla decisione di
smantellare la Dc, presa dal segretario democristiano Mino
Martinazzoli. "Gettare alle ortiche un simbolo così prestigioso è un
atto scellerato", ripeteva. A luglio inventò il nome Forza Italia e mi
mandò dal suo notaio di fiducia,Guido Roveda,a depositare lo statuto
dell'associazione. Vennero con me i compagni di scuola Scotti e
Spinelli».
E poi?
«Ai
primi di agosto Berlusconi ci disse: "Ragazzi, quest'estate niente
vacanze. Fra pochi mesi si vota. Non c'è tempo da perdere". Io, a dire
il vero, andai lo stesso a Bormio. Al ritorno, trovai già pronti il
logo, la bandiera e l'inno di Forza Italia e anche il kit del militante
azzurro».
Secondo lei esiste sì o no un conflitto d'interessi fra il politico Berlusconi e l'imprenditore Berlusconi?
«Oggettivamente il presidente del Consiglio è chiamato a prendere
decisioni che possono riguardare anche le sue aziende. Ma pensare che
sia quello il motivo per cui è sceso in politica significa far torto
alla sua intelligenza».
Avete mai parlato del tumore alla prostata che lo colpì nella primavera del 1997?
«Sì. Affrontò anche quella drammatica prova con la sua consueta
capacità decisionale. Si affidò senza indugi al bisturi del
professor Patrizio Rigatti, il chirurgo del San Raffaele che due anni
dopo, con un aereo messo a disposizione dal Cavaliere, sarebbe volato in
Tunisia per tentare di salvare la vita a Bettino Craxi,
asportandogli un rene nella sala operatoria di un ospedale militare
dove mancavano la luce e le garze e al posto del reggibraccio c'era
un tronco d'albero. Subìto l'intervento, Silvio tornò al lavoro
troppo presto. Ma era nel mezzo della traversata del deserto seguita
al ribaltone del 1994 e durata fino al 2001, quando rivinse le
elezioni».
Il miglior pregio di Silvio Berlusconi?
«L'umanità. È quella che gli italiani percepiscono a pelle».
Il peggior difetto?
«Si lega a un altro grande pregio: è un visionario. E come tutti i visionari pensa, sbagliando, che l' intendance suivra ,
per dirla con Napoleone e De Gaulle. Un errore di sottovalutazione.
In politica spesso l'intendenza non segue affatto. Piuttosto si
adagia.
(524. Continua)
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it
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