Hornby: "I miei personaggi solo degli ingenui"

Lo scrittore inglese: "Non è vero che i miei protagonisti sono dei ritardati emotivi. Fare liste? E' una difesa dal disordine dle mondo"

Hornby: "I miei personaggi solo degli ingenui"

Cinquantadue anni e cinque milioni di copie - i romanzi Alta fedeltà sulla musica pop e Febbre a 90° sul tifo calcistico sono long seller anche in Italia - vendute scrivendo soprattutto di maschi emotivamente ritardati (quasi tutti i recensori sono d’accordo su questo) e facendosi leggere soprattutto da donne emotivamente...
Emotivamente come, Nick Hornby? Lei ha detto che il suo lettore ideale è donna, tra i 30 e i 40 anni. Con quali altre caratteristiche?
«Istruzione universitaria, ma forse anche no. Comunque una donna che, nonostante il lavoro e la famiglia, non abbia mai smesso di coltivare la lettura, il cinema, la musica. E che abbia una relazione a lungo termine».

Perché quest’ultima? Nel suo appena uscito «Tutta un’altra musica» (Guanda) la coppia «a lungo termine» Annie e Duncan non fa bella figura. Annie va persino in terapia...
«Che vuol dire? Personalmente penso che le coppie non ci vadano abbastanza, in terapia. Un uomo e una donna non hanno reali svantaggi a raccontare a un terzo i propri problemi. Occorre rimediare alla propria incapacità di comunicare le cose al momento giusto. Molta parte del discorso intorno alla terapia di coppia, invece, è superficiale quanto un tabloid».

C’è molta competizione tra uomo e donna oggi, come tra i due protagonisti?
«Annie e Duncan non sono felici nemmeno all’inizio del romanzo. E se il desiderio è quello di competere, si trova sempre il modo di farlo. Annie a un certo punto immagina una storia d’amore con la rockstar Tucker Crowe, guardacaso l’ossessione del suo ex. Oggigiorno il desiderio è molto triangolare. La sua è però una domanda sociologica? Io mi premuro innanzitutto di tratteggiare psicologie concrete, la sociologia nei miei libri è un sottoprodotto della psicologia. Tengo molto al realismo».

Viviamo in un’epoca di liste. La lista degli amici su Facebook, la playlist sull’mp3. Lei ha fatto della lista un marchio di fabbrica.
«Già. La lista settimanale dei libri che leggo, che compro, che non finisco. Era una rubrica giornalistica. Famose e molto copiate sono rimaste liste di canzoni in Alta fedeltà, che scrissi nel 1994. A dirla tutta, però, penso che il fare liste sia sintomo di scarsa attenzione. È più comodo vedere il mondo racchiuso in una lista. C’entra anche la volontà di ridurre tutto a una sorta di scienza».

Insomma, cosa c’era sul suo iPod da ascoltare, durante il volo per l’Italia, dove sta presentando «Tutta un’altra musica»?
«Sleep all summer dei The National. Poi Cold di Maxwell. E due o tre canzoni di Til Tuesday, il gruppo formato da Aimee Mann».

I suoi libri, pure l’ultimo, sono pieni di musica pop. Vendono anche per questo?
«Forse. La musica pop è nata come qualcosa di infantile, poi è diventata seria e infine pretenziosa. Ma io la amo troppo per giudicarla. La vera novità oggi è la quantità enorme di musica pop che si produce e che viene penalizzata perché soffre di un confronto costante con quella degli inizi. Ma questo per esempio non accade coi libri. Il fan adulto di un idolo pop viene bollato come adolescenziale. Diremmo lo stesso se nutrisse la stessa ossessione per Dante?».

Ma viviamo o meno in un’epoca emotivamente ritardata, come Duncan nel suo romanzo?
«Non la metterei in questi termini. È patetico limitare la vita degli adulti pensando che debba essere fatta solo di lavoro, famiglia e assenza di passioni, o anche ossessioni. Tutto questo sarebbe indice di povertà emotiva. Gli adulti oggi sono meglio di quelli del passato appunto perché non smettono, crescendo, di fare alcune cose un po’ ingenue. Preferisco le persone passionali, Duncan lo è, tutto sommato».

Il titolo di un suo libro è

«Shakespeare scriveva per soldi». Lei perché scrive?
«Per non ammalarmi».

Dicono che lei scriva sempre lo stesso libro, però.
«Tremendo. Quegli scortesi che lo dicono sono liberi di non leggermi».

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