Cronaca locale

Horovitz in scena al Teatro della Memoria

Ambiente tenebroso, da città industriale per «Ci rivedremo a Harvard»

Viviana Persiani

Ambiente cupo, tenebroso, un sottobosco tipicamente statunitense dell’epoca postindustriale avvolge, sulla scena dello Spazio della Memoria, la messinscena di Ci rivedremo ad Harvard, il primo allestimento italiano del lavoro di Israel Horovitz, firmato da Sergio Scorzillo.
È la compagnia Doppio Sogno a dare vita alla vicenda che si sviluppa attorno ai due personaggi, un anziano professore e la sua badante, una signora di mezza età della quale, col tempo, si scoprono relazioni insolite con questo uomo. Dei trascorsi ombrosi e un passato non così scontato di questa giovane donna vengono portati alla luce dalle situazioni, dando vita a un lavoro teatrale misterioso e plurisfaccettato.
Gianni Busatto, nei panni del vecchio Jacob Brackish, accompagnato dall’onnipresente Kathleen, interpretata da Licia Guastelluccia, sono avvolti dalle immancabili melodie dell’instancabile radio del vecchio professore. È Riccardo Grassi ad aver curato luci e suoni, presenza indispensabile di questa originale messinscena, capace di donare al lavoro teatrale “una terza dimensione”, astraendo dalle semplici parole del testo.
«In effetti - racconta Grassi - il suono rappresenta il terzo personaggio della vicenda. Il vecchio ascolta musica classica sintonizzandosi sempre sul medesimo programma radiofonico diretto da un signore altrettanto anziano. Questa presenza precaria, prima o poi scomparirà, come tutto ciò che anima il vecchio prof: ricordi morenti, amici giunti ormai alla fine del loro cammino». Una colonna sonora fedele ai lavori musicali, citati dallo stesso Horovitz nel testo, ha aiutato Grassi a disegnare il profilo di una messinscena simbolica che sconfina a volte nell’astrazione.
«Non essendo amante del teatro naturalistico, ma sempre spinto da una ricerca di nuove dimensioni, ho voluto dare alle parole del testo un senso che va oltre al loro suono. Quindi, al di là dei brani musicali dei classici compositori, ai quali non ho mancato di rendere omaggio, ho lavorato molto sulla suggestione cercando di rendere percepibile, oltre la soglia della coscienza, rumori come quello dell’oceano, il fruscio delle foglie, il rombo dei temporali. In maniera subliminale, ho moltiplicato così il rimbombo dei rumori».
Basandosi sulla traduzione firmata da regista Scorzillo, con il benestare di Horovitz, la compagnia Doppio Sogno, accompagnata dall’entusiasmo della platea della sala di via Cucchiari dà forma e vita a una pièce poco conosciuta in Italia, scritta da un autore ancora poco frequentato. «Non so come mai - continua Grassi -, forse coincidenze o casistica, ma mi sorprende che uno scrittore come Horovitz ancora non abbia invaso le platee con i suoi lavori. Per quanto mi riguarda ho condiviso la passione di Scorzillo per questo lavoro, anche se devo ammettere che sono più indirizzato verso un teatro differente; ho un continuo bisogno di astrazione galoppante e proprio per questo sono alla ricerca di un testo al quale consacrarmi.

Per ora sto prendendo in esame tre opere, anche se, per il momento, quella favorita sembra essere quella firmata da Brecht».

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