HRABAL Il dolce terrore dell’umorismo

Lo scrittore ceco è scomparso dieci anni fa, forse suicida: le sue storie, bizzarre e surreali, sono colme di humor mitteleuropeo, sessualità e morte

Praga, 1904, Franz Kafka scrive «Un libro deve essere la scure per il mare gelato dentro di noi». Praga, 1990, Bohumil Hrabal scrive: «Per me il teatro più caro è quello che ho scritto in modo tale che mi spaventa, che mi fa paura». Kafka tese per tutta la vita - breve - a diventare letteratura, Hrabal affermava: «I miei conoscenti mi prendono in giro chiamandomi “Letteratura”». E ancora: «In questa mia Europa centrale, in questo mio laboratorio letterario \ mi sento continuatore non solo di Jaroslav Hašek, ma anche del dottor Kafka, continuatore di quello che proclamava e scriveva Ladislav Klíma, che hanno scritto Richard Weiner, Franz Werfel, Rainer Maria Rilke e del loro rapporto con Praga».
Il 3 febbraio 1997 Hrabal vola giù dal quinto piano di un ospedale di Praga, come ricorda il suo biografo polacco Aleksander Kaczorowski nella godibilissima rievocazione Il gioco della vita. La storia di Bohumil Hrabal (edizioni e/o, pagg. 163, euro 14,50, traduzione di R. Belletti). Incidente o suicidio di un uomo solo, malato, legato simbioticamente ai suoi splendidi gatti, mentre erano tramontate tutte le figure del suo mondo: i mitici nonni, lo zio Pepin, l’adorata moglie Pipsi, e gli amici, tutti protagonisti dei suoi racconti, l’imballatore di carta da macero Jindrich Peukert (raffigurato nel protagonista di Una solitudine troppo rumorosa) o il pittore e grafico Vladimír Boudník, morto suicida. E le sue storie, bizzarre, surreali, sono colme di un umorismo mitteleuropeo fortemente lugubre, in cui sesso, crapula, anarchia e morte si distendono in una caotica struttura che l’autore tenta di ordinare per tutta la sua scrittura.
In questo tentativo Hrabal è l’ultimo dei grandi praghesi, erede degno di Hašek, dei fratelli Capek, come pure dei praghesi di lingua tedesca, da Kafka a Meyrink. In un certo senso Hrabal (assai più di Kundera, soprattutto di quello francese) è il rappresentante autentico della Praga «magica», una Praga che si estende a tutta la Boemia e la Moravia, quale luogo poetico del paradosso e della letteratura come resistenza armata del piccolo uomo contro tutti i totalitarismi e le invasioni barbariche dei nazisti e degli stalinisti, contro gli appetiti etnici dei germani e dei russi. Hrabal è lo scrittore che ha trasformato l’umorismo in milizia partigiana, che è riuscito a far ridere la lingua ceca in un periodo in cui non c’era proprio nulla da ridere.
Leggendo ora la storia della sua vita, incontriamo un uomo che è soprattutto uno scrittore, che trasferisce tutta la sua esperienza in una prosa di straordinaria vitalità, per cui l’umorismo è la quintessenza della modernità, di quest’epoca dove non è più possibile la tragedia, ma solo la tragicommedia e che paradossalmente è l’epoca più atroce e brutale che la storia ricordi. Nato nel 1914, Hrabal è restato giovane, adolescente, impudicamente casto, scevro da ogni malizia e malvagità e le sue storie, tutte, hanno un tocco di ingenuità epica, antica e naturale, che è poi la tonalità vera della grande letteratura praghese, quella che proprio la casa editrice e/o ha contribuito a diffondere. E leggendo le storie hrabaliane, comprendiamo quanto sia realistica la rievocazione meravigliosa che Angelo Maria Ripellino ha operato in Praga magica, uno dei più straordinari capolavori della letteratura italiana del secondo Novecento.
Hrabal incarna il più ortodosso «mago» praghese; in realtà era nato il 28 marzo 1914 a Zidenice, un sobborgo di Brno, la capitale della Moravia, ed era cresciuto in una fabbrica di birra a Nymburk e la birreria - come per Hašek - fu il suo habitat come l’osteria per Cecco Angiolieri. Il suo studio era la birreria praghese U Zlatého Tigra (Alla Tigre d’oro), dove scriveva, riceveva e rilasciava improbabili interviste. Mentre gli scrittori tedeschi di Praga amavano i caffè: al Café Arco si riuniva Kafka con Brod, Baum, Weltsch, mentre Meyrink officiava al Café Continental e il filosofo Franz Brentano meditava in una saletta del Café Louvre, frequentata anche da Christian von Ehrenfels. Non so se si può statuire una tipologia culturale della civiltà intellettuale e artistica praghese in base a queste due ramificazioni topografiche. Certo è che Hrabal è impensabile senza il mondo mitteleuropeo delle birrerie. E le birrerie praghesi, fumose e oscure, erano i luoghi in cui nei decenni delle tante dittature si poteva ancora sopravvivere alle occhiute polizie segrete dei tanti totalitarismi.


Finito quel mondo, da cui tutte le comparse si erano allontanate, in una fredda giornata di febbraio anche Hrabal se ne andò, lasciandoci con l’ultimo enigma. Ma che enigma non è poiché lui era diventato quello che voleva essere, semplicemente: «Letteratura».

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