«Lindecoroso spettacolo cui si assiste non solo dimostra e certifica il marcio allinterno dei nostri club sportivi di calcio, ma mortifica milioni di tifosi». La frase è di Mauro Fabris, capo della segreteria politica dei Popolari-Udeur, lultimo a parlare nellallegro trenino dei deputati-tifosi. Usando la sua terminologìa, diciamo che questuomo ha torto marcio. Perché non è marcio il calcio, ma chi lo usa per farsi pubblicità e per guadagnare qualche voto, chi si aggrappa ai cavilli per non pagare pegno.
Non è marcio il calcio, almeno sul fronte del doping amministrativo e della giustizia sportiva. Lo è chi gli impedisce di ripulirsi, di cacciar via i club che barano in campo e quelli che hanno i bilanci più sconquassati della vecchia Parmalat. È marcio chi induce i tifosi più violenti a incendiare i cassonetti e a bloccare i traghetti. Ed è come minimo poco sereno chi giudica senza equidistanza dal suo scranno in curva Nord (una-dieci-cento Cirami). Non è marcio il calcio, ma chi dal parterre della tribuna Monte Mario (vip e scorte) ha lanciato la monetina allarbitro Frisk e continua a vantarsene impunito. Michele Serra se la prende con «limpronta medievale e municipalista», con il «campanilismo amorale». E lo dice come se fosse qualcosa di inventato laltroieri, un veleno nuovo che percorre la società. Ma il campanilismo esiste dai tempi di Romolo e Remo, ed è il sale del pallone. Non è il campanilismo a uccidere il calcio, ma il giustizialismo da spiaggia. Il presenzialismo giudiziario. La toga da Twiga.
Come in preda a tarantolamento intellettuale, oggi tutti se la prendono con Franco Carraro, che in questa faccenda si è comportato in modo corretto. Noi gli diamo un suggerimento gratuito: chiuda il caso Genoa in una busta, la consegni con le chiavi di via Allegri al giudice Alvaro Vigotti e vada in ferie. Lasci al Tribunale di Genova il compito di definire i campionati, stilare i calendari, mettersi daccordo con gli sponsor.
I calendari? Li faccia il tribunale
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