Egidio Sterpa
Paradigmatica, esemplare, è la polemica che da qualche tempo tiene occupati su Repubblica Mario Pirani e Pecoraro Scanio a proposito del Mose di Venezia. Uno scontro che presenta unevidente disparità: un vecchio e stimato giornalista, di ricca e ricercata esperienza, e un giovane parlamentare che recita la parte di moralista e ambientalista e perciò contesta il progetto Mose, di cui si parla da più di trentanni, e che, sostiene giustamente Pirani, sulla scorta del parere di esperti internazionali, è stato dichiarato «efficace per proteggere Venezia dallacqua alta».
Pecoraro Scanio, pensate un po, oppone la tesi che il progetto danneggerebbe gli uccelli selvatici che vivono in laguna. Verosimile o no lassunto del leader verde, non si può fare a meno di constatare a quale livello si sia scesi in materia di modernizzazione delle nostre strutture. Non può dunque mancare la solidarietà al collega Pirani, che in questa polemica garbatamente si è molto trattenuto, facendo ricorso solo a qualche sprazzo di ironia.
Insomma, non sono più la ragione e loggettività a guidare i dibattiti ma il pregiudizio e lirrazionalità, accompagnati spesso da affrettate prese di posizione prive di fondamento, quando non manca addirittura il dolo a fini di immediati risultati politici.
In questa complessa e vasta materia di opere utili al progresso del paese vige ormai il ricatto psicologico e politico. La conseguenza di questassurda condizione è il silenzio, la rinuncia da parte dei più moderati a far valere buon senso e ragione. Ne è prova lo scantonamento di non pochi leader politici, che a fronte delle contestazioni virulente di gruppuscoli più o meno organizzati, si guardano bene dal battersi per la modernizzazione delle nostre strutture. Assai spesso a trovarsi isolato è il ministro delle Infrastrutture e trasporti.
Il futuro del paese è nelle mani dei vari comitati di lotta no global, che, oltre a impiastrare con le loro scritte i muri delle città, organizzano manifestazioni e contestazioni tutt'altro che pacifiche, ispirando e guidando proteste localistiche e ambientalistiche spesso speciose e strumentali.
Come ha scritto opportunamente Ostellino sul Corriere, a sinistra sè andato configurando un vero e proprio «partito del non fare». Sicché il nostro amico corrierista è costretto a chiedersi in che consista il riformismo di cui non pochi a sinistra oggi si dichiarano sostenitori. Il fatto vero è che la vera urgenza per costoro è leliminazione di Berlusconi. Non cè riformismo che tenga, si è disposti a mettere insieme diavolo e acqua santa. Sperare nel ritorno alla ragione a questo punto è mera illusione. Tantè vero che lamico Piero giunge, in un altro suo scritto, fino addirittura ad augurarsi che il centrosinistra non vinca alle prossime elezioni, sì che possa ritemprarsi e rinnovarsi.
Caro Piero forse non sarebbe male che i liberali riflettessero di più sulle conseguenze in caso di vittoria di una coalizione dove cè più massimalismo che riformismo, più voglia di potere che vera intenzione di governare proficuamente i problemi del Paese. Veniamo al sodo: quali garanzie dà Prodi? Comè possibile credere che egli sappia tenere testa agli estremismi, per esempio, di Bertinotti, Diliberto, Pecoraro Scanio, per citare solo tre dei titolari di eterodossia che già ora condizionano la coalizione del centrosinistra? Certi silenzi e condiscendenze preoccupano.
Per rimanere nel settore dei lavori e delle opere pubbliche, che è il tema di questa nostra analisi, chiediamoci quanti sono i «no» di certa sinistra. Vediamo: no al Mose, no alla Tav, no al ponte di Messina, no agli inceneritori, no ai termovalorizzatori, no a varianti autostradali, no a tante altre cose. Secondo fonti ministeriali, sono ben 190 (centonovanta) le opere pubbliche contestate. Cè da non crederci.
E fermiamoci qui, non ci piacciono né la demagogia, né la retorica, espressioni cui fa ricorso chi inganna e ha bisogno di conquistare consenso a tutti i costi. Preferiamo affidarci ai fatti.
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