I cantori delle meraviglie del meticciato

Da una ragionevole considerazione del presidente Pera sul rischio di una società di meticci a causa della massiccia presenza di islamici che in Europa sono già decine di milioni è nata una gazzarra culturale che vede gli intellettuali progressisti schierati a favore del meticciato del quale decantano le virtù supreme. Poi ci sono quelli che sostengono che siamo comunque tutti meticci e quindi è inutile gridare al lupo al lupo. Io non mi sento meticcio, e lei?


Io nemmeno, caro Bonanni. Non escludo che qualche mia lontana antenata sia andata a letto con un Mustafà, ma se fu, fu eccezione perché nel corso dei millenni la regola - non dei miei avi, dell’intera umanità - è sempre stata moglie e buoi dei paesi tuoi, nel senso che le società hanno sempre posto molto impegno nel conservare la propria identità, nel non contaminarla sbrodolandola nel crogiuolo multietnico. In quanto alla superiorità del modello ibrido in confronto al modello connaturale, tutta fuffa. Tant’è che il dibattito sul meticciato ha prodotto solo stomachevoli quantità di ipocrisia e un torrente di ampollosa retorica buonista. Al grido di «siamo tutti meticci!», sono scesi in campo i più bei nomi della società civile, a gara a chi tromboneggiava di più.
Devo dire che il primato spetta, per unanime verdetto, a Giampiero Mughini, l’intelligente e spiritoso giornalista di spettacolo che lei, caro Bonanni, certamente conosce. Ebbene, dopo aver manifestato il proprio rammarico per non essere mai riuscito a farsi meticcio, per non aver imparato l’yddish, per non aver avuto un’amante nera e per non saper preparare piatti della cucina libanese - tutte cose che fanno la gioia della vita - Mughini ha voluto rassicurarci affermando che non tutto è perduto perché «ogni volta che m’è riuscito di contaminarmi con culture ed esperienze diverse dalla mia, è andata benissimo». Gigionate, discorsi tipici da ombrellone. Quel «contaminarmi», poi. Contaminare - in italiano, non in yddish - significa insudiciare, introdurre sostanze nocive producendo guasti. Significa corrompere moralmente.
Ma il bello viene adesso: a testimoniare la magnificenza del meticciato o comunque della «contaminazione» etnico-culturale, Mughini porta la coda, sì, insomma, la fila che si fa davanti a uno sportello. Nella sua Sicilia le file risulterebbero essere «una sorta di mischia di rugby dove volti contratti e mani adunche lottano per il primato». Ma lì, alla Cité Universitaire di Parigi, dove il Mughini s’avventurò, tutt’altra musica: la fila era ordinata e composta in quanto formata «da studenti di tutta Europa», alieni dal contrarre il volto e uncinare le dita. «Meravigliose possibilità del meticciato» concluderà Mughini, non prima d’aver promesso che la prossima volta andrà a Istanbul, «dove sono così turchi che di più non si può».
Si chiama «sindrome dell’interventista». Non pochi intellettuali, Mughini fra costoro, sentono come un dovere morale e politico intervenire, ovvero dire la loro su faccende che di riffa o di raffa guadagnano la prima pagina dei giornali. E poco importa se non hanno, come quasi sempre accade, una opinione in merito. Come per i vecchi jukebox, inseriscono la monetina e il disco gira. Importa anche poco che il loro intervento abbia un senso.
Quello di Mughini infatti non lo aveva perché il meticciato è una cosa (incrocio, conseguente a copule multiple, di razze diverse), altra è l’assembramento, ancorché contegnoso, di persone di diversa nazionalità. Pertanto il suo potrebbe definirsi un peana al cosmopolitismo (e alla turchiaggine della Turchia), non certo un argomento a favore del meticciato e di conseguenza una censura al presidente Pera. Cosa conta?
Mughini e compagni si son comunque forniti il pretesto per incidere un’altra tacca sul revolver del loro impegno civile.

Caricato a salve, ma si sa, son tutti pacifisti.
Paolo Granzotto

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