I CONTI CON GLI ANNI DI PIOMBO

Il 17 maggio 1972, davanti alla sua casa di Milano, Luigi Calabresi veniva assassinato da un commando di due killer che gli spararono alle spalle. Lasciò la moglie Gemma Capra e due figli. Un terzo nacque pochi mesi dopo. Commissario, 35 anni, era il vice-responsabile della squadra politica della questura e il suo omicidio venne dopo una campagna di odio scatenata da Lotta continua dopo la morte di Giuseppe Pinelli, l’anarchico precipitato da una finestra della questura di Milano durante un interrogatorio sulla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Il settimanale «L’Espresso», in tre successivi numeri in edicola a partire dal 13 giugno 1971, pubblicò un appello firmato da intellettuali di sinistra che ritenevano Calabresi responsabile della morte di Pinelli e in cui si chiedeva di ricusare i «commissari torturatori, i magistrati persecutori, i giudici indegni». L’inchiesta sulla morte di Pinelli fu condotta dal magistrato Gerardo D’Ambrosio: nell’ottobre del 1975 la sentenza escluse sia il suicidio che l’omicidio e definì la morte come accidentale, a causa di un malore.

Per la morte di Calabresi solo nel 1997 si giunse a una sentenza in Corte di cassazione che condusse ad arresti e condanne definitive: Ovidio Bompressi e Leonardo Marino sono considerati esecutori materiali del delitto, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri i mandanti. I quattro all’epoca appartenevano a Lotta continua, della quale Sofri e Pietrostefani erano stati fondatori. A Calabresi lo Stato ha assegnato la Medaglia d’oro al merito civile.

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