Don Giovanni, lopera del debutto della stagione della Scala, sabato si congeda dopo dieci repliche, la classica prima del SantAmbrogio e lanteprima per i giovani del 4 dicembre. E quasi a ritmi aziendali, Robert Carsen, autore della regia del Don Giovanni, archivia uno spettacolo e da sabato (fino al 5 febbraio) ne fa conoscere un altro: Les Contes dHoffmann, opera fantastica in un prologo, tre atti ed epilogo di Jacques Offenbach su libretto tratto da Eta Hoffmann.
Carsen assicura che la produzione, già vista nel 2000 a Parigi, è stata rivisitata apposta per Milano, assieme al costumista e scenografo Michael Levine. «È una produzione con grandi movimenti, pensata per lOpera Bastille di Parigi. Per la Scala ho trovato nuove soluzioni», anticipa Carsen. Variazioni che non è un semplice taglia e cuci, assicura il regista, Les Contes milanesi non sono roba da «pret-a-porter, io amo lhaute couture». Offenbach, noto anche come il Mozart dei boulevards, e Hoffmann amarono alla follia Mozart e in particolare Don Giovanni, arcicitato nei Contes. E anche nei Contes il fulcro dellopera è un uomo, Hoffmann, nella cui orbita ruota una serie di donne: in testa Stella, cantante. Il primo atto è consacrato a Olympia, una bambola meccanica brevettata dal fisico Spalanzani e che vede grazie agli occhi di Coppelius, Hoffmann se ne innamora salvo poi scoprire la beffa. È centrato su Antonia il secondo atto, cantante anchella come Stella ma che morirà fra le braccia del padre. Lultimo atto è animato da Giulietta, la Don Guovanni al femminile: seduce e infine abbandona Hoffmann. Nellepilogo torna Stella. Vicende fantastiche uscite dalla penna del poeta romantico Eta Hoffmann e trasformate in un libretto dopera da Barbier e Carré. «Sono storie che fanno riferimento a periodi diversi della vita di Hoffmann. Olympia rappresenta la fase prima, quella dellingenuità, Antonia copre larco centrale. Lamore per Giulietta sarà disperato e carnale», ancora Carsen che definisce il poeta «un uomo pazzo, ma commuovente e sensibile». A Milano, Hoffmann è il tenore messicano Ramon Vargas, venuto alla ribalta nel 1992 con un last minute, in sostituzione di Luciano Pavarotti. Lanno dopo, seguiva il debutto scaligero. Il suo non è un debutto di ruolo, ma quasi. «Otto anni fa ho fatto il mio ultimo Hoffmann, al Metropolitan. Sono passati tanti anni, è come se lo debuttassi di nuovo». Vargas ricorda che «effettivamente Hoffamnn temeva sul serio che esistessero i robot, è stato un visionario».
La musica francese, tale quella di Offenbach, è difficile da realizzare lamenta Vargas, «se si eccede con la dolcezza diventa noiosa. Così, abbiamo scelto un punto intermedio per cui non cè troppo miele e neppure é troppo asciutta». Alla direzione di questopera cè Marco Letonja, direttore cui sicuramente va linvidia di tanti colleghi. Non perché sia alla testa di complessi top del settore.
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