I costi della Sanità per lo Stato sono una malattia

Caro Granzotto, sono rimasto interdetto dagli ultimi dati sulla disastrata sanità italica. Come in altri ambiti, vi sono regioni virtuose (poche) e altre (molte) che gravano in modo insopportabile sulle casse dello Stato, cioè di tutti noi. A esempio la Lombardia, con servizi e offerte sanitarie di eccellenza a livello europeo, ha un attivo di 29.590 euro. Al contrario la Regione Lazio, i cui servizi sanitari non sono assimilabili a quelli lombardi, ha un deficit di ben 1.374.463 euro, una vera e propria voragine. C’è evidentemente qualcosa che non quadra: prestazioni ottimali si raggiungono con attivi di bilancio, in altri casi si accumulano impunemente enormi perdite. Poiché i conti in rosso del Lazio vengono pagati dai cittadini di questa Italia una e indivisibile, mi chiedo e le chiedo: è morale?
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No, caro Sole: per me non è morale. Però è solidale. La questione dunque è questa: bisogna essere solidali (sovvenendo ai deficit) con chi dilapida i danari dei contribuenti? A me non pare che nella commendevole Carta costituzionale (oltre tutto nata dalla Resistenza, mica no) ci sia scritto che le Regioni, dalle quali dipende la Sanità, siano strette da un vincolo di assistenza reciproca in caso di buchi di bilancio. Però fa lo stesso. E tutto sommato ci potremmo anche stare, a condizione, però, di non venir chiamati a sanare voragini determinate dalla cattiva o pessima amministrazione. Se un ospedale di Milano paga un camice 25 euri - sto facendo un esempio - e quello di Catanzaro 90, c’è poco da fare i sofisti, caro Sole: gatta ci cova. Per carità di patria lo chiameremo sperpero, ma assomiglia a un’altra cosa. La Sanità costa, su questo non si discute. Costa perché si attiene al modello scandinavo (negli anni Sessanta, il welfare svedese o norvegese era considerato il migliore e civilmente e democraticamente più avanzato). In pratica, se avesse voluto, la buonanima dell’avvocato Agnelli avrebbe potuto rifornirsi di medicine e sottoporsi a cure senza sganciare una lira. Esattamente come il più sfortunato e nullatenente dei disoccupati. In altri Paesi le persone abbienti, i benestanti, sottoscrivono assicurazioni non gravando così su un sistema già di per sé costoso. D’altronde se uno è disposto ad assicurare i propri quadri o il proprio chalet dal rischio di un incendio, perché non dovrebbe, visto che ha i mezzi, assicurare la propria salute? O almeno pagare di tasca propria le medicine?
C’è gente, rispettabile, ci mancherebbe, che non batte ciglio pagando una bottiglia di Sassicaia 200 euri, ma l’aspirina, quella se la fa passare dalla mutua. Poi c’è lo spreco: è stranoto che da noi il mutuato che non si vede prescrivere un abbondante tot di farmaci cambia il medico di base, ritenendolo professionalmente inadeguato. Al primo accenno di raffreddore, il mutuato standard pretende antibiotici, vitamine, antistaminici e magari uno sciroppino. E i medici, non tutti, certo, ma parecchi di loro, per non perdere l’assistito si adeguano. Una quindicina d’anni fa venne fuori che il consumo di una certa polvere destinata a curare la psoriasi era salito alle stelle. Possibile, si chiesero al ministero della Sanità, che la popolazione fosse improvvisamente affetta da dermatite cronica? Si scoprì poi che il medicamento veniva richiesto in dosi massicce dai pazienti che lo usavano, però, per i pediluvi. Tutto ciò a spese del contribuente, della comunità. Infine, c’è lo spreco - chiamiamolo così - nel mare magnum delle forniture (valga l’esempio, minimo, dei camici).

E un certo andazzo nel mettere a reddito le varie Tac e Rmn: ti presenti in ospedale (anche qui: non tutti. Molti) col dito schiacciato dal martello e subito ti prescrivono una Tac. Comunque un paio di lastre. A questo punto, caro Sole, giriamo la sua domanda: tutto ciò, è morale?

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