«Di fronte ai crimini di guerra non ci sono distinzioni tra chi ha vinto e chi ha perso, non ci sono vincitori e vinti, ma solo criminali che come tali dovrebbero essere giuridicamente trattati».
Lo scrive sul Gazzettino di mercoledì Sergio Dini, procuratore militare di Padova. È lui ad intuire la valenza del decreto luogotenenziale di Umberto II di Savoia. È lui ad aprire tre dei dossier consegnati da Pirina. È ancora lui che nella insistente polemica fra chi ribadisce l'ineluttabilità d'una resa dei conti dopo una guerra e chi invece sostiene la criminalità di tali procedure di giustizia sommaria, prende carta e penna e fa alcuni distinguo.
Che diventano ancora più pesanti nel momento in cui il suo collega della Spezia, Marco De Paolis, preferisce passare la mano alle procure ordinarie, mentre se ne esce con la battuta «guai ai vinti» che diventa oggetto di interrogazioni parlamentari.
Dini parte dalla strage di Katin, cita emblematici episodi di eccidi che vedono responsabili gli americani e i partigiani. Ricorda Cefalonia e Spalato.
«Con questo - scrive - non si vuole certo affermare che tutti colpevoli, nessun colpevole, ma al contrario, che i colpevoli di fatti di tale inaudita gravità dovevano, dovrebbero essere sempre e comunque giudicati e condannati non solo dalla storia, ma anche nei tribunali».
Spiega che storicamente sporadici processi sono stati intentati solo a carico degli sconfitti, magari scampati ad un prima giustizia sommaria.
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