RomaMassimo D’Alema a Ballarò non ha perso il controllo. Non ha insultato un giornalista, ha detto qualcosa di sinistra. Non si è alterato, tanto da pentirsene in diretta televisiva, ha deciso scientemente di giocare duro. E con lui anche Pierluigi Bersani, intervenuto ad Annozero. Se non fossero passati venti anni, ieri sembrava essere tornati ai quotidiani che concordano quali notizie fare uscire e come farle uscire.
Il fatto sono gli insulti di D’Alema al condirettore del Giornale che, parlando del caso Scajola, ricordava l’appartamento a canone agevolato dell’allora esponente Pds. La novità è che la medesima lettura della puntata di Ballarò - tutta pro D’Alema - è stata data da Repubblica, da Europa, e fin qui niente di strano, poi anche dal Secolo d’Italia. Stesse tesi, differenze solo di dettaglio, con il quotidiano vicino a Gianfranco Fini più convinto di tutti dalla performance dell’ex premier, sintomo di una sinistra, finalmente, «con le palle». Anche grazie a Fini.
«Addio fair play a oltranza, la sinistra ora gioca duro nell’arena dei talk show», titolava il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. La tesi di Filippo Ceccarelli è che, finalmente, i leader del Pd «non lasciano più correre». Le urla di un politico in risposta a chi gli fa le pulci, il fatto che un ex presidente del Consiglio dica a un giornalista «vada a farsi fottere», sono uno sfogo «incoraggiante». Gli allarmi lanciati alle kermesse sulla libertà di stampa sono passate di moda. Oppure ci sono principi derogabili quando ad avere la penna in mano sono i cattivi. «Quando ce vo’, ce vo’», sintetizza Repubblica utilizzando un’espressione romanesca che tronca ogni tentazione di ragionare.
Se Repubblica si è lanciata nell’elogio della legge della giungla, Europa - quotidiano del Pd - ha scelto di mettere sullo stesso piano il D’Alema che ha accusato Alessandro Sallusti di essere prezzolato e pagato con donnine, con il Bersani che, ospite alla trasmissione di Michele Santoro, ha reagito alle punzecchiature di Marco Travaglio (questo particolare Repubblica lo omette). Forse non è una strategia studiata a tavolino, «ma se lo fosse sarebbe interessante». Europa dà spazio al dubbio: forse D’Alema non lo doveva fare. Motivo? «Uno come lui non si mette al livello di Sallusti, ormai noto al pubblico televisivo come watchdog (cane da guardia, ndr) a senso unico».
Non c’è spazio per i dubbi (neppure per quelli finti) nelle colonne del Secolo. Titolo palese: «La sinistra ha battuto due colpi». Titolo occulto, attribuito ad un quotidiano «tipo Libero o Giornale»: «Una sinistra con le palle». D’Alema e Bersani «hanno preso il toro per le corna»; hanno registrato «un cambio di passo per una sinistra che era in affanno comunicazionale da troppo tempo».
Attenzione, però: gli insulti a Sallusti sono un fatto che «può e deve essere letto con la lente speciale della metafora e non della cronaca». Un fatto culturale, insomma. Il Secolo fa anche un po’ di revisionismo e Affittopoli - inchiesta allora gradita da tutti gli elettori del centrodestra e non solo - diventa «cosiddetta». La reazione di D’Alema al ricordo della sua casa, il segno di «una sinistra democratica che si riscopre finalmente sociale, stufa di essere messa all’angolo» dai populisti che trovano «nel Giornale di Feltri e Sallusti il principale punto di riferimento».
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