Eleonora Barbieri
da Milano
Una forza interiore, una disciplina marziale basata su gesti morbidi e armoniosi e, ora, arte di preghiera: il Tai chi, una pratica che dalla Cina si è diffusa in tutto il mondo, non è soltanto un corollario delle mode new age, ma può servire a preparare il corpo alla meditazione cristiana. La «promozione» viene da Popoli, il mensile della Compagnia di Gesù che, nel numero di maggio, propone una riflessione sul rapporto fra corporeità e fede e, in particolare, fra la dottrina orientale e preghiera cristiana.
«Il corpo - spiega padre Davide Magni - è il nostro luogo inevitabile», perché «la vita quotidiana avviene sempre dentro, con o attraverso il corpo». La fisicità non può essere quindi trascurata durante la preghiera, tanto che al tema l'istituto San Fedele di Milano ha dedicato un corso, da poco concluso: tecniche di rilassamento, postura e Tai chi, oltre agli Esercizi spirituali di SantIgnazio di Loyola. Fra i docenti Roberto Fassi, maestro di Tai chi e autore di un secondo articolo: «Il Tai chi chuan - spiega - non è solo un metodo, una semplice tecnica, che può aiutare i cristiani nella loro pratica meditativa, ma può diventare un'autentica preghiera cristocentrica». Punto di riferimento è Chang Dsu Yao, colui che ha introdotto l'arte marziale in Italia: «Chang era di religione cattolica e ogni sua lezione iniziava e terminava con la cerimonia del saluto a Dio, agli antenati e agli antichi maestri».
I gesuiti ci tengono a spiegare che questa apertura a Est è lontana da qualsiasi sincretismo, quel rischio, quel peccato, evocato nel 1989 dall'allora cardinale Joseph Ratzinger: «Con l'attuale diffusione dei metodi orientali di meditazione nel mondo cristiano e nelle comunità ecclesiali - avvertiva il futuro Papa Benedetto XVI - ci troviamo di fronte ad un acuto rinnovarsi del tentativo, non esente da rischi ed errori, di fondere la meditazione cristiana con quella non cristiana». Il messaggio del futuro Papa era chiaro: non confondiamo la religione cristiana con la moda New Age. Lo yoga, spiegava Ratzinger in un'intervista nel '99, ha valore soltanto dal punto di vista «fisico» e non come ideologia.
I gesuiti sembrano tenersi in bilico su questo confine, attenti a non oltrepassarlo. Il rischio è confondere gli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, santo con un passato sui campi di battaglia, con le arti marziali. «Possiamo ricorrere a patrimoni lontanissimi dalla tradizione cristiana quali lo yoga e il taoismo - precisa padre Magni - cogliendone le suggestioni per via analogica». E il punto d'incontro è proprio l'esperienza della corporeità, spesso dimenticata di fronte a ritmi troppo frettolosi: il primo passo è perciò riacquisire la capacità di respirare, un'azione spontanea ma, di solito, inconsapevole, nonostante il suo ruolo vitale.
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