I guai di Tonino

Antonio Di Pietro, se lo conosci lo eviti. Lo slogan rubato a un vecchio spot del secolo scorso calza a pennello per descrivere lo stato d’animo in casa dipietrista. Dove l’ex pm sembra quasi l’untore della pubblicità, circondato da un contagioso contorno viola che puzza a giorni alterni di forcaiolismo (contro gli altri) e garantismo (con i suoi). A Bruxelles, ad esempio, si parla già di fuga di cervelli Idv: meno due. L’uno-due che ha screpolato la pattuglia dipietrista al Parlamento europeo è stato sferrato dal criminologo calabrese Pino Arlacchi, esperto anti ’ndrangheta, e dal casertano Vincenzo Iovine, sociologo anticamorra, due ex di peso. L’addio di Arlacchi è recente, Iovine ha detto «ciao» e si è autosospeso all’inizio dell’estate. Ma Tonino si è ben guardato dal dirlo in giro. A salvare la democrazia in Europa sono rimasti in cinque. Se si pensa che il più affidabile della pattuglia è l’ex pm di Catanzaro Luigi De Magistris, che da mesi sta sferrando un attacco interno al partito, con ammiccamenti a Beppe Grillo e Nichi Vendola e contorno di agende rosse, e che da questi addii ha tutto da guadagnare, si capisce come in Europa Tonino si senta abbandonato.
Il pretesto dell’addio dell’esponente casertano sarebbe uno sgarbo in piena regola: non essere stato invitato al congresso provinciale di Caserta dell’Idv. Strano, per chi da mesi sostiene che il suo «naturale» collegio elettorale sia nelle mani dell’onorevole Americo Porfidia, anche lui (ironia della sorte) autosospeso, dopo aver avuto la sfortuna di finire immischiato in una storiaccia di camorra sulla quale sta indagando la Procura antimafia campana. «Lui difende i camorristi», fu l’amara sintesi fatta dal collega di partito Francesco Barbato dopo la brutta notizia su Porfidia: «Se un giudice coraggioso lo ha messo sotto accusa per il 416 bis qualche domanda ce la dobbiamo porre». Da fine 2009 a oggi l’unico a porsela, a quanto pare, è stato Iovine, che alla domanda «resto o vado» si è preso il suo tempo e i suoi pretesti. L’Idv locale, a suo dire, l’avrebbe «continuamente e sistematicamente ignorato e boicottato». Certo, in un partito normale sentirsi boicottato da uno in odore di camorra dovrebbe essere motivo di vanto. Ma nell’Idv ci sono valori come il risentimento e il garantismo part time che valgono più degli altri.
«Non si può andare avanti così», fa eco Arlacchi. Che, udite udite, non ne può più del forcaiolismo di Di Pietro. L’illuminazione dell’ex Idv calabrese è arrivata dopo che l’ex pm ha ghignato plaudente alla contestazione del popolo viola del presidente del Senato Renato Schifani durante la festa Pd di Torino: «La sua deriva estremista mi preoccupa da tempo - ha detto - ma questa sua ultima presa di posizione è stata decisiva». Voglia di sincera democrazia? A quanto pare sì: «Sono lontano anni luce da Schifani, e non l’avrei nemmeno invitato, ma fino a che non ci saranno prove certe emerse da procedure democratiche e nel pieno rispetto dei suoi diritti costituzionali, Schifani non può essere etichettato e additato al pubblico ludibrio come mafioso e non può essere né insultato né zittito». Per l’ex Idv calabrese «siamo all’antimafia intollerante e demagogica», all’«autogiustizia primitiva e inaccettabile».

Ma il clou Arlacchi lo raggiunge citando «Mani pulite»: «È stato un altro grande esempio di democrazia che si è fatta sentire. Però i processi non si sono mai svolti su Facebook e sui giornali ma nei tribunali». Ingrato, Arlacchi. E pure smemorato...
felice.manti@ilgiornale.it

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