«Ma i gufi volevano che tutto fallisse»

Finalmente 25mila persone abitano in case anti-sismiche

L’Aquila, un anno fa. Dottor Guido Bertolaso, la prima cosa che le viene in mente di quella notte?
«Il mio letto che ballava a Roma, la telefonata con la sala operativa, l’intervento immediato, perfetto, degli uomini e delle donne della Protezione civile. Da quel preciso momento ho lavorato per giorni e giorni come un automa».
Il ricordo più bello?
«La riapertura delle scuole, la gioia dei bambini, la sorpresa dei genitori e degli insegnanti. Un momento significativo perché sulla riapertura dell’anno scolastico avevamo investito tutta la nostra credibilità. Ricominciare la scuola significava ricominciare la vita».
Il ricordo più brutto?
«La speranza di qualcuno che potesse fallire il nostro progetto, che potesse esserci una scossa di terremoto durante il G8, che le case antisismiche non venissero consegnate in tempo. Nonostante quello che era successo si percepiva il tifo contrario, per fortuna di pochi, affinché questo intervento fallisse come nelle precedenti occasioni».
Cos’ha significato per l’Aquila, e gli aquilani, il pronto intervento della Protezione civile e del governo?
«Sentirsi parte di una comunità nazionale che si è davvero stretta intorno a loro, che non ha guardato in faccia a nessuno per risolvere ogni problema facendogli capire che non era “carità” quella che si stava facendo ma era una forte solidarietà e un impegno di tutto il sistema. Non credo ci sia stata una componente sociale, tecnologica e scientifica che non ci abbia messo enorme passione oltreché grande competenza».
A che punto siamo realmente con la ricostruzione? Diamo qualche numero, sulle case consegnate per esempio...
«Oltre 25mila persone che hanno avuto la casa distrutta dal sisma, oggi vivono in abitazioni antisismische e case di legno. Poi c’è una significativa quota di 20-30mila persone a cui lo Stato sta dando una mano nella ricostruzione delle case danneggiate. C’è una grossa attività in corso, soprattutto fuori dai centri storici, dove siamo abbastanza avanti. La sfida è quella di sistemare il cuore dell’Aquila, che è uno dei 20 centri storici più importanti d’Italia come realtà urbanistica e culturale. È un lavoro complesso. Non si può pensare che in un anno sia possibile ricostruire tutto».
Al cosiddetto “popolo delle carriole” che protesta per la mancata rimozione delle macerie vuol dire qualcosa?
«Il popolo delle carriole esprime una preoccupazione e un’ansia per quelli che sono i passi che debbono essere realizzati dalle autorità locali. Non credo sia casuale il fatto che questo movimento è nato dopo che noi avevamo già fatto il passaggio delle consegne ai responsabili del territorio».
Il “metodo-Protezione civile” è davvero esportabile all’estero?
«Certamente sì. Un paio di settimane fa lady Ashton, il ministro degli Esteri dell’Europa, è stata ad Haiti e ha visto quello che il sistema Italia stava facendo: è rimasta semplicemente sbalordita. Ormai non c’è convegno all’estero dove non si faccia cenno alla bravura e alla capacità degli italiani».
Lei ha ricevuto critiche anche feroci, l’architetto Fuksas l’ha addirittura aggredita verbalmente in un ristorante lanciando un portaformaggi. Quali l’hanno ferita di più?
«Lasciamo stare Fuksas. Mi hanno ferito coloro che hanno detto che io stavo proteggendo gli interessi di qualcuno e che volevo portare avanti un disegno che avrebbe penalizzato l’Aquila e gli aquilani. Una calunnia orribile».
La mancata realizzazione della “Protezione civile spa” potrebbe avere conseguenze in caso di future calamità naturali?
«Lo vedremo. Per noi, nonostante le strumentalizzazioni, non era la madre di tutte le battaglie. Nessuno voleva privatizzare la Protezione civile, nulla di più lontano dalle nostre idee e strategie. Andiamo avanti lo stesso. Mi pare che anche nelle ultime settimane abbiamo fatto vedere che quella vicenda non ha bloccato la macchina, che funziona ancora alla perfezione».
L’inchiesta “Grandi Eventi” ha offuscato il lavoro svolto a L’Aquila e l’immagine stessa della “sua” Protezione civile?
«Non credo sia stato casuale il fatto che tutto sia esploso a 45 giorni da un’attività elettorale piuttosto delicata. Si voleva mettere in ginocchio un sistema di Protezione civile fra i migliori del mondo, particolarmente apprezzato dagli italiani.

Nonostante l’impegno profuso, non mi pare che siano riusciti nel progetto».
Si farà interrogare dai magistrati?
«Certo. Sono pronto da tempo, sono sereno perché sono pulito. E me lo faccia dire, sono fiducioso nella magistratura».

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