I legami pericolosi del candidato che imbarazza il Pd

E' polemica per la presenza nella testa di lista in Sicilia di Vladimiro Crisafulli, già indagato per i suoi rapporti personali con un boss di Cosa nostra

I legami pericolosi del candidato che imbarazza il Pd

Gian Marco Chiocci e Luca Rocca
Vladimiro «Miro» Crisafulli, esponente dei Ds siciliani, intercettato e filmato dalla polizia mentre in un albergo di Enna parla affettuosamente col boss Raffaele Bevilacqua, non ha avuto problemi a trovare posto ai vertici delle liste del Pd (quinto al Senato in Sicilia). Seppur assolto, con discreta sorpresa di investigatori e compagni di partito, Crisafulli ancor oggi crea imbarazzi nel centrosinistra poiché il suo nome è collegato alla pantomima dell’esclusione dalle liste di Giuseppe Lumia, vicepresidente della commissione Antimafia, ripescato in extremis per aver ricordato a buon intenditor il caso dell’«impresentabile candidato». Crisafulli, appunto. «Trovo sconcertante la presenza di alcune candidature nel Pd in Sicilia - ha sparato a zero il 4 marzo - da tempo mi batto contro la candidatura di Vladimiro Crisafulli. Ritengo che la sua presenza non sia compatibile con l’obiettivo di dare fiducia e forza alla Sicilia che vuole il cambiamento».
Per passare da escluso alla Camera a capolista al Senato con le liste già (date per) chiuse, a Lumia son bastate poche ore e un velato riferimento a quell’incontro tra il politico e il capomandamento di Enna. Incontro culminato con la videoregistrazione di un bacio tra i due che agli addetti ai lavori ha riportato alla mente il più celebre, ma mai dimostrato, bacio tra Andreotti e Totò Riina. Spalleggiato da associazioni antimafia, sindacati e blog giustizialisti, Lumia ha costretto l’«amico Walter» a rimangiarsi questa frase: «Io sono refrattario all’idea che ciascuno consideri se stesso l’antimafia - aveva detto Veltroni -. L’antimafia è una pratica e non una persona». Già il 16 marzo 2007 Lumia mirò alto, forse all’ex capolista Luciano Violante che con Massimo D’Alema aveva imposto, e difeso, la candidatura di «Miro», peraltro indagato un anno prima con Cuffaro nell’inchiesta sulla gestione di «MessinAmbiente», la società mista che gestisce la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti sullo Stretto: «Il mio partito doveva essere più severo, i Ds non dovevano candidare Vladimiro Crisafulli. Anche se i magistrati hanno escluso sue responsabilità, certe frequentazioni vanno comunque sanzionate. I partiti dovrebbero dotarsi di codici etici e darsi regole certe per la selezione dei loro dirigenti». L’orologio della storia «irraccontabile» nel Pd si ferma alle 13.45 del 19 dicembre 2001 quando l’allora vicepresidente Ds della regione Sicilia viene «immortalato» in un video all’hotel Garden di Pergusa mentre discute di finanziamenti e appoggi elettorali col boss Bevilacqua, fedelissimo di Provenzano. Agli inquirenti che lo indagano per associazione mafiosa, Crisafulli negherà ogni addebito parlando di «incontro casuale». L’allora procuratore di Caltanissetta (poi promosso capo a Palermo) Francesco Messineo - che a sorpresa non effettuerà perquisizioni all’Ars perché in quel momento riteneva che c’era «bisogno di tranquillità e non di scontri istituzionali» - inizialmente spiega che i rapporti tra il diessino e il capo cosca ennese, sono «diretti e personali, intrattenuti quasi sempre in circostanze non trasparenti». I contenuti della conversazione, per la procura, «non lasciano dubbi sulle intenzioni di Bevilacqua di effettuare interferenze illecite negli appalti pubblici, avvalendosi della disponibilità del politico». Dello stesso avviso è il gip: «Il rapporto tra i due è estremamente fiduciario. Bevilacqua chiama il politico in tre occasioni dal proprio cellulare e in una di queste utilizza il falso nome di “Totuccio”. Nonostante l’espediente, il politico nulla eccepisce, dimostrando di operare in piena sintonia con l’esponente di Cosa nostra». Durante l’incontro uno dei titolari dell’albergo porta carta e penna, ma il politico le rifiuta: «Non mi serve la carta, tutto a mente, niente tracce». Si parla di problemi politici a Piazza Armerina: «Spererei che mi facessi contento questo gruppo. Se sono amici miei sono anche amici tuoi» dice Bevilacqua.
In corso d’opera, però, le granitiche certezze di Messineo e della sua procura vengono meno. Il 19 febbraio 2004 il pm ottiene l’archiviazione richiesta pur scrivendo come sia «dimostrata da parte del Crisafulli la disponibilità a mantenere rapporti con il Bevilacqua, accettando il dialogo sulle proposte politiche dello stesso in particolare in materia di finanziamenti e appalti (...)». Quanto alle numerose telefonate fra i due «costituiscono un complesso di contatti e disponibilità al dialogo di inquietante valenza. Il solo fatto che un autorevole rappresentante politico incontri un personaggio del quale non poteva ignorare la nota caratura nel contesto della illiceità mafiosa, è fatto troppo grave perché sia il caso di insistere». Nonostante ciò, però, per i pm Crisafulli va assolto: «Non risulta che le richieste di Bevilacqua siano state esaudite, e quindi l’ascolto e la discussione appaiono piuttosto finalizzate a mantenere aperto un canale di collegamento. La condotta di Crisafulli può apparire oggettivamente legittimante rispetto a Bevilacqua e quindi pericolosamente vicina al sottile confine della attività penalmente illecita (...

) però si deve concludere che non vi sono sufficienti elementi di prova per dire che abbia arrecato significativa, rilevante utilità al Bevilacqua, al sodalizio criminoso di appartenenza dello stesso o all’intera Cosa Nostra». Per dirla come l’ha detta Vladimiro Crisafulli al presidente dell’Antimafia, Francesco Forgione, la sintesi di tutto questo si riduce all’osso: «Il mio concetto di legalità è più elastico del tuo».

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