Luca Fazzo - Enrico Lagattolla
Milano - «Egregio direttore, avrei il piacere di incontrare Lei o persona di sua assoluta fiducia per illustrarle alcuni fatti relativi alle società di cui sono stato sindaco e consulente. Ritengo di poter offrire alla sua testata importanti spunti di riflessione». L’e-mail è del 14 settembre 2009, e arriva all’indirizzo di Concita De Gregorio, direttore dell’Unità. A inviarla è Nicolò Gandolfo, commercialista, braccio destro di Fabrizio Favata, uomo d’affari con più di guaio con la giustizia: l’uomo che - secondo la procura di Milano - nel 2005 fece da tramite tra l’editore del Giornale e Roberto Raffaelli, amministratore delegato della società Rcs che per conto di molte Procure effettua intercettazioni telefoniche.
La De Gregorio è solo una dei tanti giornalisti a cui Favata ha tentato di raccontare - e a volte di vendere - la sua verità sulle scalate bancarie che hanno imbarazzato la sinistra e sugli scoop che agitarono l’estate di cinque anni fa. Quello che l’inchiesta dei magistrati milanesi ora racconta - nel mare di documenti depositati - è come fosse possibile sfruttare il delicato nodo delle intercettazioni, offrendo a ciascuno la pietanza preferita per poi passare all’incasso.
In fondo, i verbali di Favata spaziano da sinistra a destra. Sono un esempio di narrazione trasversale, in cui una notizia (la scalata di Ricucci, Fiorani e Coppola ad Antonveneta, e quella di Consorte a Bnl) ne partorisce subito un’altra (l’ormai famoso «Abbiamo una banca?» pronunciato dall’allora segretario dei Ds Piero Fassino), proseguendo come un domino fino alle accuse a Paolo Berlusconi, cui Favata offrì lo scoop su Fassino. Così, davanti al pm, l’imprenditore rivela che, in effetti, la telefonata di Fassino a Consorte non era l’unica degna di nota. «Ce n’era un’altra - dice - Raffaelli mi aveva detto che ce n’era anche una di Bersani e ce n’erano due o tre di esponenti del Pd che chiedevano...». Anche l’attuale segretario dei Democratici, dunque, (anche se, stranamente, di questa telefonata di Bersani non è rimasta traccia agli atti) si sarebbe interessato in prima persona della conquista della Banca Nazionale del Lavoro, così come avrebbero fatto (oltre a Fassino, che tra il 5 luglio 2005 e il 22 dello stesso mese parlò al telefono sedici volte con Consorte), anche Nicola Latorre (26 telefonate in 21 giorni), Ugo Sposetti (13 chiamate in 22 giorni), e (per due volte) il personaggio che risponde a un numero fisso intestato alla Associazione Futura, di cui - rimarcano gli investigatori - «rappresentante legale è Massimo D’Alema».
Applicando una sorta di «metodo-Corona» al mercato delle fughe di notizie, Favata vende a destra le soffiate sulla sinistra e a sinistra le dritte sulla destra. Nella caccia alle sponde politiche, c’è anche uno strano abboccamento tentato con la presidente del Pd al Senato Anna Finocchiaro. «Favata - si legge in un rapporto di polizia giudiziaria - versa in forte difficoltà economica, tanto da recarsi a Roma per contattare e probabilmente proporre le registrazioni audio che provino tutta la vicenda oggetto di questo procedimento legale sia a una giornalista dell’Unità che alla senatrice del Pd Finocchiaro». Dagli uffici del Pd lo invitano a chiamare in Senato. Favata ringrazia. È il 26 gennaio scorso. Di questa pista, poi, si perdono le tracce.
Il Fatto Quotidiano, la Repubblica, L’Unità, ma anche il Giornale: è lungo e vario l’elenco dei giornali e dei giornalisti cui Favata si rivolge mentre è già pedinato e intercettato dalla Procura milanese. A volte chiede soldi, a volte sembra animato unicamente da desiderio di rivalsa. Di quattrini non risulta che riesca a portarne a casa. Ma di consigli sì: «Quello che volevo dirti - gli spiega uno dei giornalisti contattati - è che il pesce grosso è Annozero, il pesce grosso è Ballarò o Annozero...
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