«I miei trent’anni all’ombra di Craxi»

Milano«Ho lavorato con Bettino per trent’anni e sa com’è finita? Con la gente che mi inseguiva per le strade del centro di Milano, lungo corso Monforte, gridandomi: “Ladra, tu stai con i ladri”. Una tizia, sarà stato il ’94, mi rincorse fin dentro il negozio di un panettiere. Che paura. E che pena». Enza Tomaselli parla con distacco, senza enfasi, quasi in modo impersonale di quella vita tagliata via dalla ghigliottina di Mani pulite. Tomaselli è stata la segretaria dell’uomo forse più potente d’Italia, poi è finita in carcere, è stata condannata, ma non è cambiata, non ha abiurato, è sempre se stessa. Anche in questi giorni di celebrazioni e polemiche, per il decennale della morte: oggi e domani una folta delegazione socialista sarà ad Hammamet, sulla tomba di Craxi. Lei no, è rimasta a Milano.
Come conobbe Craxi?
«Lavoravo nella segreteria di Aniasi, iniziava anche a Milano la stagione luminosa del centrosinistra. C’era un clima nuovo, molti ideali e qualche illusione. Bettino mi disse: “Ho bisogno di una segretaria”. E io gli risposi: “Mi metta alla prova”. Andò bene, siamo rimasti insieme fino al ’94 e alla sua partenza per Hammamet».
Come era Craxi nel lavoro?
«Stava in ufficio anche per dieci ore. Fumava orribili sigarette al mentolo e beveva acqua minerale. Sulla sua scrivania si ammonticchiavano dossier su dossier, in un caos indescrivibile. Posso raccontarle un episodio?».
Prego.
«Bettino era burbero, aveva degli scatti d’ira che mascheravano la sua timidezza. Dunque, un giorno cercava un documento importante di cui non sapevo assolutamente nulla».
Dunque?
«S’incavolò perché questa carta non saltava fuori e con una manata fece franare quel mare di carte per terra».
Lei?
«Me ne andai nel mio ufficio. Poi rientrai per dargli notizia di una telefonata internazionale».
Lui?
«Era accovacciato per terra, stava raccogliendo i fogli».
Quando vi siete trasferiti in piazza Duomo?
«Quasi subito, al civico 19, quarto piano. Craxi era segretario della federazione milanese del partito, poi col Midas diventò segretario nazionale, e poi negli anni Ottanta presidente del Consiglio. Gli uffici erano di proprietà del Comune che li aveva affittati al Centro europeo di studi sociali. Si facevano pubblicazioni, libri, ma il grosso era rappresentato dalle attività di Craxi. Craxi stava a Milano dal venerdì pomeriggio al martedì mattina e quei locali erano meta di un pellegrinaggio incessante».
Chi ricorda?
«Ricordo una visita segreta di Henry Kissinger, organizzata da Margherita Boniver. Ricordo le visite di un avversario politico come Giorgio Almirante, ricordo il presidente Napolitano e ricordo Berlusconi. Il Cavaliere arrivava accompagnato da un assistente che dispensava regali. Il fattorino apriva la porta e subito l’assistente gli dava in omaggio un orologio. Io conservo ancora un orologino di Berlusconi».
Ancora?
«I dissidenti dell’Est. Ho avuto l’onore di incontrare Vaclav Havel; del resto in piazza Duomo 19 aveva sede anche la rivista del dissenso cecoslovacco Listy e pure, nel periodo dei colonnelli greci, allo stesso indirizzo c’era la rappresentanza dell’Unione di Centro, un partito greco. Un giorno suonarono il campanello tre strani figuri, capimmo in seguito che erano dei servizi segreti di Atene».
Com’erano i rapporti con la nomenklatura del Psi?
«Spiace dirlo, ma molti dirigenti millantavano una consuetudine che non avevano. Facevano anticamera, ma Bettino non li riceveva, loro uscivano e inventavano: “Bettino ha detto...”. Lui amava dire: “Gli ho dato del lungo”».
Chi erano questi dirigenti?
«Mah. Finetti, Manzi, Chiesa».
Strano: proprio Mario Chiesa, il “mariuolo” che provocò la valanga di Tangentopoli?
«So che oggi può sembrare una scusa, ma Craxi non aveva rapporti con Chiesa. Semmai, l’ingegnere si intortava Bobo».
Craxi ammise il finanziamento illecito del partito.
«Ogni tanto entrava qualche dirigente del partito e diceva: “Porto di là”».
Che cosa?
«Buste. Valigette. Borse».
Lei apriva?
«Mai. Passava il tesoriere Vincenzo Balzamo e provvedeva. I partiti avevano bisogno di soldi, tutti i partiti, dalla Dc al Pci. Poi tutti hanno fatto finta di non sapere, che ipocrisia».
Mai pensato che fosse reato?
«Pensavo che il partito avesse bisogno di risorse, molte risorse».
Anche gli imprenditori portavano contributi?
«Mai successo. Erano sempre gli uomini del partito: facevano la gara a dare, come poi l’hanno fatta a tradire».
Chi era il più assiduo?
«Più d’uno».
Più d’uno chi?
«Per esempio Silvano Larini. Uno che si era autoproclamato guardia del corpo di Bettino, che veniva ad ogni comizio in camicia rossa e si piazzava dietro Craxi. Poi quando mi hanno arrestata e abbiamo fatto il confronto, mi ha messo la mano sulla spalla e mi ha sussurrato: “Ciao”. Bettino lo considerava un amico eppure Silvano non ha esitato a voltargli le spalle e ad accusarlo».
Quando è finita a San Vittore?
«Mi hanno prelevato due ufficiali dei carabinieri, fra l’altro due bei ragazzi, nell’ufficio di piazza Duomo a febbraio ’94. Alle nove di sera ero a San Vittore. In una cella strettissima: c’erano due letti quasi attaccati. Uno era occupato da una tossicodipendente tunisina e l’altro da una madre accusata di aver fatto prostituire le figlie minorenni. A me fu assegnato il letto della tunisina e lei dovette accontentarsi di un materasso per terra».
Quanti giorni rimase in cella?
«Quindici. Fui interrogata da Di Pietro, Davigo, Colombo, Ielo. Tutte le domande vertevano su Craxi. Per fortuna mi avevano accordato la loro protezione alcune detenute politiche, forse delle Br. Mi salutavano, s’informavano sulle mie condizioni, mi davano libri da leggere. Ricordo un tomo alto così: la storia della Cina».
Craxi?
«In quel periodo mi ripeteva: “Stai tranquilla, se succede qualcosa vieni con me in Tunisia”. Ma si capiva che quel sistema stava finendo e poi lui all’inizio aveva sottovalutato Mani pulite».
Non fu l’unico.
«Rimasi tre mesi ai domiciliari. Alle due di notte venivano i carabinieri a controllare che fossi in casa. C’era un clima infame. Quando mi hanno liberata, sono stata inseguita, fra urla e insulti. Ho passato gli anni successivi a cancellare, questa è la prima volta che mi sforzo di ricordare».
Però non mi dica che nessuno intascava le tangenti nel Psi.
«Per carità, c’erano i ras che si arricchivano. Certi casi erano lampanti».
Tipo?
«Ho in mente un dirigente milanese il nome non glielo dico perché è morto, che era un tipo scialbo, con la moglie brutta e stracciona. Un giorno lo rivedo trasformato: “Sai, per problemi di salute pasteggio solo con champagne e mangio solo filetto”. Quelli sì che erano ladri. Ma c’erano anche tante persone perbene. Come Gabriele Cagliari che si è ucciso in carcere per non perdere la propria dignità». Ed Enza Tomaselli, che ha parlato due ore senza un’interruzione, tira fuori un fazzolettino di carta e si asciuga le lacrime.
Hammamet?
«Ci sono stata tante volte.

Ma non mi ci sono mai abituata, né quando Bettino era in vita né dopo. Quella tomba così modesta, così straniante, non mi appartiene. Tu preghi e senti la voce del muezzin. Che pena. E poi dicono che Bettino era il padrone di Milano».

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