I nemici di Hamas assassinati e gettati in mare

La calda, affollata spiaggia di Gaza cinque anni fa, al momento dello sgombero, era per i proprietari degli alberghi e dei ristoranti affacciati sulla sabbia la rappresentazione della vita dopo gli israeliani: turismo in costume da bagno, giornalisti che si abbronzano e fanno la siesta sulle sdraio mentre gli asinelli sospinti dai ragazzini giocano con la schiuma del Mediterraneo. Per i camerieri, pesce fresco da spinare in cambio di buone mance. Il mare, orlato da palme ed edifici moderni per il turismo. Avrebbe dovuto andare così. Ma sin dal primo momento, quando Hamas prese il potere, quella spiaggia è stata percorsa da rivoli di sangue, sovente sangue di fratelli palestinesi invisi al potere assoluto dell’organizzazione integralista. Uscire di metafora è troppo facile: dalle voci dei palestinesi locali, spaventati e confusi, si sa che è molto frequente l’affiorare di corpi riportati dalle onde sulla spiaggia. I giornali riportano spesso un’ecatombe di affogati, ma si sa che non è colpa solo del mare: spesso quei morti hanno anche una pallottola in testa, e fra di loro si trovano personaggi della nomenclatura, burocrati, ufficiali della polizia e degli uffici di sicurezza.
La gente ne parla a bassa voce, ma sa che su tutti questi personaggi c’è un marchio, quello di «traditore», «spia». La parola «collaborazionista», ci spiega il giornalista israeliano esperto di mondo palestinese Alex Fishman del quotidiano Yediot Aharonot, ha ormai una quantità di versioni: se sei Jesous (spia) o Madsus (impiantato) o Amil (agente) o Matawin (collaborazionista) o Unsur Munshur (elemento sospetto), proprio come nell’Urss di Stalin, puoi essere trascinato in silenzio nella «piantagione», luogo che al tempo degli insediamenti fungeva da serra per pomodori e fiori. Ma ora si dice in slang, puoi esservi «piantato» a parecchi metri di profondità, e addio al mondo. A Gaza, tutti fingono di trovare necessaria la caccia in corso, la frenesia indicata dagli avvisi che, piazzati per le strade, chiedono alla gente di collaborare; anche i predicatori lo chiedono nelle moschee e così i maestri nelle scuole. Il prossimo anno il curriculum scolastico sarà arricchito oltre che dal solito insegnamento su come diventare «martiri» uccidendo gli ebrei, da un capitolo su come scoprire i traditori del regime con cui tanta parte del consesso europeo sembra desideroso di parlare e fare accordi.
La frenetica caccia al traditore in cui viene trascinata Gaza ha come sfondo una gran confusione e un desiderio di serrare le fila: Hamas è al bivio fra l’eccitazione creata dal potere iraniano che la riempie di armi e dal sostegno delle varie flottiglie internazionali, mentre il presidente Abu Mazen è sospinto da Obama verso colloqui di pace con Israele. Non c’è tempo da perdere: Hamas da una parte vuole creare confusione, così la pensa l’ala militare, ma vuole la simpatia internazionale, pensa invece il governo di Haniye. Un giornale arabo che esce a Londra, Asharq Al Awsat, ha raccontato che Omar Abed Al Razak, un leader di Hamas, ha incontrato martedì in Israele ufficiali israeliani: il tema forse, Gilad Shalit, o la minaccia di rapimenti in Cisgiordania. È comunque l’incontro ad apparire bizzarro: sarebbe l’ennesima prova che il gruppo che guida la politica di Hamas parla con Israele e non coincide con quello che ne guida la guerra, capitanato da Ahmed Jabaari.
I missili lanciati nei giorni scorsi contro Ashdod, quelli finiti dal Sinai su Eilat e Aqaba mostrano quanto sia attivo; e così anche l’esplosione che nel centro di Gaza, a Dir Elk Balah, ha ferito 50 persone. L’ala militare ritiene sia il momento di riprendere ad assalire Israele, provocarne le reazioni, impedire il processo di pace. Haniye invece vuole mettere a frutto la politica delle flottiglie, spingere alla solidarietà per l’organizzazione terrorista quelli che non si accorgono della pena di morte come regola, del burka imposto alle donne, dell’abolizione di ogni libertà. «Gaza libera», penosamente ripetono i radicali estremisti europei, anche dopo che Israele ha sollevato l’embargo di terra. A Gaza nei negozi si trova ormai tutto.

Hanye vuole fare fruttare questa situazione per ottenere consenso. Ma Jabari sa che ormai nei suoi depositi sono stipati 6.000 missili di vario tipo, che possono anche raggiungere Tel Aviv. Gli albergatori di Gaza, per lui, possono aspettare.

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